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Nevada contro Washington ladrona

Al centro delle rivendicazioni degli abitanti, i diritti di pascolo, la possibilità di fare prospezioni minerarie e di costruire.
1 settembre 2004
Andrea Rocco
Fonte: www.ilmanifesto.it
1.09.04

Immagini Google Il Nevada è uno dei 50 Stati americani. Ma le sue terre appartengono per l'86% al governo federale. In alcune contee particolarmente desertiche o remote, come Lincoln County, sul confine est dello Stato, questa percentuale sale al 98%. Sono terre desertiche, canyon e montagne scoscese, storicamente prese in carico dal governo federale in assenza di altri soggetti interessati. La popolazione è rada, 5000 persone nella contea di Lincoln, grande quanto il Belgio o l'Albania. Periodicamente queste terre sono percorse da fremiti di ribellione contro «Washington Padrona». Sono le cosiddette Sagebrush rebellion (dal nome delle sterpaglie di questi deserti) che sono esplose dagli inizi del secolo scorso fino agli anni Novanta. Al centro delle rivendicazioni degli abitanti, i diritti di pascolo, la possibilità di fare prospezioni minerarie e di costruire. Richieste sotto cui cova la rabbia contro le protezioni ambientali e in generale l'odio per i feds, per tutto quanto odora anche lontanamente di intervento federale. A questo movimento non è estranea la galassia della destra politica, repubblicana e non solo. Nel 1996 una sentenza del tribunale federale ribadisce il diritto di Washington alla proprietà e alla gestione delle terre federali e sembrava che la Sagebrush rebellion fosse tacitata una volta per tutte. Non è così. In questi giorni si sta approvando una legge che autorizza la vendita di 35.000 ettari di terra federale ai privati. Il 45% dei proventi della vendita verranno versati alla Contea di Lincoln per iniziative di sviluppo economico. Se la legge verrà approvata, costituirà un precedente di fondamentale importanza, sia per gli assetti territoriali dell'Ovest americano, sia per le politiche di sviluppo e di conservazione delle risorse. Il punto critico della legge è infatti il diritto a costruire acquedotti anche su terre federali, acquedotti che sono essenziali per consentire la realizzazione di operazioni immobiliari residenziali.

Voci di preoccupazione si sono già levate. «E' una legge grave - ha detto al Los Angeles Times Daniel Patterson, esperto di deserti del Center for Biological Diversity di Tucson - che mira a facilitare lo sviluppo in aree che non hanno acqua. L'altro aspetto grave è che si prende un patrimonio nazionale, una terra che appartiene a tutti gli americani, la si vende e il ricavato va nelle casse di una sola contea. C'è un serio motivo storico per cui la terra in Nevada appartiene al pubblico. E' una terra molto arida. Il Nevada è uno stato che non può sostenere molto sviluppo». Ma le considerazioni di sostenibilità sembrano passare oggi in secondo piano di fronte agli spettacolari i ritmi di sviluppo demografico dello stato: nel decennio 1990-2000 la popolazione del Nevada è cresciuta del 66%, un ritmo cinque volte superiore a quello degli Stati uniti nel loro complesso. Per i (pochi) abitanti di Lincoln County, il miraggio è quello di comprarsi dei pezzetti di deserto da rivendere a qualche palazzinaro californiano per costruirci seconde case per pensionati dell'Est o residenze a basso costo per impiegati «latinos» dei casinò di Las Vegas. Molti conservazionisti sottolineano l'aspetto di potenziale danno ecologico, assimilando la situazione di Lincoln County a quella della Owens Valley, la valle a nord di Los Angeles desertificata dalla gran sete della metropoli californiana.

Ma lo stesso movimento ambientalista è diviso da un altro aspetto della legge in esame al Congresso. Come contropartita alla vendita di terra federale, la legge prevede la creazione di 300.000 ettari di aree protette, che comprendono alcuni dei più bei canyon e le montagne più alte della contea. «Sarebbe preferibile una legge che istituisca solo delle aree protette - dice Shaaron Netherton, direttrice dei Friends of Nevada Wilderness - ma in Nevada è molto difficile da realizzare». In sostanza, per alcuni ambientalisti sarebbe accettabile uno scambio tra la cessione di alcune terre di basso valore «spettacolare» destinate allo sviluppo immobiliare e la salvaguardia totale di altre di alto valore paesaggistico. Per altri il rischio per le scarse risorse idriche e per le specie vegetali e animali della zona è troppo grande.
 

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