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Per una combinazione di fattori climatici, culturali e sociali, la «Terra degli alti passi» è divenuta nei secoli un ambiente ideale Tanto da essere presa a parametro di equilibrio e armonia anche in Occidente

Ladakh, utopia in alta quota

Ecologia, buddhismo e dialogo Così il «piccolo Tibet» tra Cina e Pakistan è diventato un punto di riferimento per gli studi sulla crescita sostenibile e la ricerca di alternative al liberismo
3 novembre 2004
Marco Girardo
Fonte: www.avvenire.it
2.11.04

Ladakh Se Thomas More, al posto dell'Oceano, avesse scelto un paesaggio montano per la sua isola di Utopia, avrebbe potuto ispirarsi alla valle del Ladakh. La «Terra degli alti passi», dove l'India s'incunea non senza frizioni diplomatiche fra Cina e Pakistan, compone con le vallate di Zanskar e Kashmir lo Stato di Jammu & Kashmir.
Precluso al turismo occidentale fino alla metà degli anni Settanta, custode di una millenaria tradizione di buddhismo tibetano, il «piccolo Tibet» è oggi una meta ambita per i turisti dello spirito. Ma è diventato anche un modello di riferimento per gli studi sulla crescita sostenibile e la ricerca di alternative interne al liberismo. Quelli che Ivan Illich indicherebbe come «percorsi del dopo-sviluppo», o che il Mauss (Mouvement AntiUtilitariste dans les Sciences Sociales) e Alain Caillé chiamerebbero «percorsi economici oltre il principio di ragione strumentale e utilitaria».

È merito anzitutto di un'antropologa di origini svedesi, Helene Norberg-Hodge, se questa valle nascosta - che l'Himalaya preserva dal monsone e i corsi dell'Indo e dello Zanskar rendono fertile anche a 4mila metri - è stata presa a parametro di equilibrio ecologico e armonia sociale. La studiosa vi ha soggiornato a lungo negli anni Ottanta. Quell'esperienza di indagine sul campo ha fornito il materiale per dare alle stampe Ancient Futures, Learning from Ladakh (San Francisco, Sierra Club Books, 1991*), lavoro capace d'iscrivere quest'angolo di mondo nel novero delle società ideali. Grazie a una combinazione di fattori climatici, culturali e sociali, per secoli le strutture comunitarie hanno favorito nella valle un intimo legame con la terra e una democrazia partecipativa imbevuta di istanze spirituali. Garantendo valori condivisi e coabitazione pacifica fra religioni diverse.
Non serve spingersi fino alla quiete dei gompa («monasteri») più remoti: basta visitare Leh, capoluogo della regione, per respirare un'aria resa pura dal corso ser eno dei secoli. In un fazzoletto di terra, girano i tamburi della preghiera sui muri del tempio buddhista, baricentro della piccola città, e cantano i muezzin dal minareto della moschea quasi prospiciente. Senza produrre scintille. Leh è un'oasi fertile di pace fra cime ostili in una terra di conflitti. Sui passi a Nord-Est, con frequenza quotidiana, le truppe indiane manovrano ad alta quota sulla linea di confine con la Cina. Nel vicinissimo Kashmir - Srinagar e à poche ore di fuoristrada - gli scontri tra musulmani, i nove decimi della popolazione, e induisti sono ancora cruenti.

Ma il «piccolo Tibet» beneficia di una configurazione etnico-religiosa diversa: più del 50% della popolazione è di religione buddhista. I musulmani, in prevalenza sciiti, sono il 46% circa. Ci sono poi minoranze sikh, cristiane e induiste. Pur disponendo di risorse limitate, per il clima estremo che caratterizza la regione, questa società multietnica si è sviluppata economicamente superando il livello di sussistenza e raggiungendo quello che viene definito a partire dagli studi di Helene Norberg-Hodge il «punto di equilibrio buddista»: laddove i beni procapite superano la soglia della povertà e favoriscono il benessere senza intaccare, come accade nelle società opulente, il livello di felicità individuale. Daniel Kahneman, psicologo e Nobel per l'Economia 2002, ha dedicato la sua ricerca a «quantificare» tale equilibrio.
Anche i primi testi dell'ecologismo occidentale affondano le radici fra i passi del Piccolo Tibet. Nel 1973, solo un anno dopo il celebre rapporto del Club di Roma intitolato «I limiti dello sviluppo», un pioniere della sostenibilità come Ernst Schumacher dedicò nel suo Piccolo è bello. Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa, un intero capitolo all'economia buddhista. La tesi centrale è il rapporto di distanza fra produzione e consumo: la produzione che si basa sulle risorse locali per soddisfare bisogni locali risulta, secondo Schumacher, il modo più razionale per esprimere la vita economica. E quello maggiormente in equilibrio con l'ecosistema.
In un celebre lavoro apparso nel 1971 su Science, l'ecologo Paul Ehrlich e l'esperto di energia John Holdren proposero una prima riflessione che conduceva all'individuazione di un'equazione che potesse esprimere l'impatto della specie umana sui sistemi naturali. Secondo i due studiosi, tale impatto può essere utilmente descritto come il prodotto di tre fattori. Il primo è il numero di individui (popolazione). Il secondo è una misura del consumo medio di risorsa per persona (che è anche un indice di affluenza). Infine, il prodotto di questi due fattori - la popolazione e il consumo pro-capite - è moltiplicato per un indice della dannosità ambientale delle tecnologie che forniscono i beni consumati. Quest'ultimo fattore può anche essere considerato l'impatto ambientale per quantità di consumo. In breve: Impatto = Popolazione x Affluenza x Tecnologia (I = PAT).

Ebbene, il Ladakh viene ormai citato tanto in Oriente quanto in Occidente come esempio di equilibrio ottimale. La tesi è ripresa ad esempio sul Journal of Buddhist Ethics (disponibile on line) nel saggio di Gregory Ornatowski Continuity and Change in the Economic Ethics of Buddhism. Nella filosofia buddista, alla base della riflessione economica si trova proprio il «principio dei retti mezzi di sussistenza», in cui si considera «giusta» la quantità di ricchezza - e quindi di benessere - che permette di potersi dedicare serenamente alla crescita spirituale.
Finora, nella valle di Leh, è stato quest'approccio a regolare il «negotium» e a mantenere a livelli alti la qualità della vita. A guardare gli aerei che atterrano ai piedi del monastero di Spituk rigurgitando turisti, c'è da chiedersi quanto ancora possa durare. David, che vende pashmine e mandala nel «Lhasa Shop», sulla strada principale di accesso al paese, ha risolto il problema schierandosi dalla parte del capi talismo avanzato: «Passo sei mesi l'anno a Leh, a gestire il negozio, e sei mesi cullato fra le onde di Goa, l'isola indiana dei divertimenti, a promuovere il turismo». Senza soluzione di continuità. E senza troppo curarsi se proprio in quel momento, a pochi chilometri di distanza, nel monastero di Hemis, si celebra un festival buddhista che gli abitanti di Leh, per secoli, anteponendo il pellegrinaggio a qualsivoglia occupazione, non hanno mai rinunciato ad onorare.

 

 

Note:
*Helena Norberg-Hodge
"Futuro arcaico Lezioni dal Ladakh"
Prefazione del Dalai Lama ISBN 88-87307-15-6
pp 180 13.43 (L. 26.000) Arianna Editrice
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