I diritti e il sapere collettivo
2.11.04
Gli agricoltori hanno diritti? Con questa domanda provocatoria si è aperta la conferenza internazionale Misure per proteggere e promuovere i Diritti degli Agricoltori, dalle esperienze locali a quelle internazionali, tenutasi dal 25 al 27 ottobre scorsi, presso l'Istituto Agronomico per l'Oltremare di Firenze (http://www.iao.florence.it). La questione può sembrare peregrina: invece è oggetto di una delle discussioni più accese e controverse che ha visto su sponde opposte paesi del nord e del sud del mondo durante i negoziati del Trattato Internazionale sulle Risorse Genetiche Vegetali per l'Agricoltura e l'Alimentazione presso la Fao, Questo trattato - dal 29 giugno 2004 in vigore per gli stati firmatari - finalmente sancisce con l'articolo 9 la nascita dei diritti degli agricoltori, riconoscendo così i loro contributi passati, presenti e futuri nel conservare, migliorare e rendere disponibili varietà e razze locali (tradizionali). Certo il trattato demanda agli stati nazionali di rendere operativi tali diritti in accordo con le proprie legislazioni, ma un primo grande passo è stato fatto. Per la prima volta, infatti, un accordo internazionale riconosce agli agricoltori il diritto alla protezione delle conoscenze tradizionali associate alle varietà tradizionali, il diritto all'equa ripartizione dei benefici derivati dall'uso di tali varietà, e, soprattutto, il diritto a partecipare ai processi decisionali e politici a livello nazionale sulla conservazione e uso della biodiversità agricola. E' la base da cui partire per riconoscere quell'innovazione collettiva informale attuata nel tempo da agricoltori, indigeni e comunità locali, che ha permesso lo sviluppo e il miglioramento delle pratiche agricole fino ai giorni nostri. Ora si tratta di rendere operativi i diritti degli agricoltori, sia a livello nazionale che transnazionale: sarà la sfida per il mondo agricolo nei prossimi anni, uno dei punti chiave su cui verificare l'efficacia del trattato. Del resto, la questione agricola sta diventando centrale nella critica al modello economico imperante.
Ma di che natura sono questi diritti, chi ne sono i titolari? E soprattutto come si passa dall'enunciato della legge alla pratica? La discussione nata a Firenze ha coinvolto gli agricoltori stessi (tra cui Via Campesina e la Confederation Paysanne) insieme a ricercatori, «agenti di sviluppo» ed enti locali, ed è ruotata attorno a due temi centrali: il sistema della conoscenza e della ricerca contadina e cosa vuol dire diritto allo sviluppo per le comunità rurali. È emerso chiaramente che solo uno scambio di idee ed esperienze tra realtà diverse - tra i tanti nord e sud del mondo - può portare ad immaginare approcci e strumenti innovativi. In effetti, l'articolo 9 del trattato prefigura un'inedita alleanza tra piccoli agricoltori del mondo industrializzato e del sud, alleanza costruita sulla comune consapevolezza dell'importanza della agrobiodiversità per lo sviluppo rurale agroecologico.
Alcune basi, da cui partire per approfondimenti futuri, sono state gettate. Innanzi tutto, i diritti degli agricoltori si configurano come diritti collettivi, non sono una nuova forma di «proprietà intellettuale» e non possono essere protetti mediante i tradizionali istituti di protezione della proprietà intellettuale (ad esempio brevetti). Inoltre, prefigurano un nuovo paradigma su ricerca e produzione di innovazione in agricoltura, basato sulla centralità delle conoscenze tradizionali contadine. Non ultimo, potrebbero vantaggiosamente essere sostenuti anche da altri gruppi di interesse oltre agli agricoltori, in particolare i consumatori. Il dibattito non è chiuso. Come ha affermato Jean-François Berthellot, agricoltore-panificatore come lui stesso si definisce, «noi agricoltori dormivamo durante la sbornia del produttivismo della rivoluzione verde, ora cominciamo a risvegliarci».
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