Schumacher e l'economia della sopravvivenza
La sua era una visione che andava molto al di là della mera tecnologia intermedia e della conservazione, e della proprietà dei lavoratori, - infatti la parte più importante di questa era una teoria genuinamente liberatoria e comunitaria, ciò che chiamava in un punto “economia buddista”.
Schumacher non si esprimeva granché sull'economia tradizionale. Infatti era solito raccontare questa storia. Un giorno un architetto, un astronomo e un economista erano seduti insieme discutendo su quale delle loro professioni fosse la più antica. L'architetto diceva che era la sua perché era stato un architetto a pianificare e costruire il Giardino dell'Eden, la prima casa dell'umanità. No, diceva l'astronomo, prima del Giardino c'è stata la creazione del cielo e della terra, e ci deve essere stato un astronomo a studiare quel cielo. Bene, disse l'economista, hai ragione, ma Dio ha creato il cielo e la terra dal caos - e, disse, chi credi abbia creato quest’ultimo?
Bene, gli economisti invero hanno creato il caos, e lo hanno chiamato capitalismo industriale moderno. Così caotico che in un senso non funziona – non fornisce cibo , riparo, acqua, salute, longevità, in modo adeguato per un terzo, forse la metà intera, degli abitanti della terra, non fornisce sicurezza, armonia, obiettivi, significato, giustizia, o pace a tutto il resto delle persone ma solo a una piccola minoranza delle nazioni ricche.
E nell’altro senso funziona davvero, funziona a tal velocità e potenza da usare le risorse del pianeta – cioè il suo scopo fondamentale, il carburante del suo motore - e facendo questo stermina le sue specie, impoverisce il suolo, inquina le sue acque, altera l'atmosfera, elimina le foreste, modifica il clima, degrada la flora marina, e allarga i suoi deserti. Caos, appunto.
Schumacher conosceva l'economia del caos molto bene – era stato, dopo tutto, capo economista del Comitato Britannico del Carbone per 20 anni. Sapeva quanto unidirezionale e pericolosa fosse, ecco perché, dopo un soggiorno a Burma negli anni '60, elaborò i temi di un'economia di giustizia basata sul “nobile sentiero a otto vie” del Buddha, un insieme di obiettivi personali che includono “il retto stile di vita” – come una persona possa condurre la sua vita nel modo migliore – ma anche “la retta comprensione”, “la retta condotta”, “il giusto sforzo” e “il giusto obiettivo”.
Schumacher stesso riassunse il caos dicendo che “l'economia senza Buddhismo” - cioè, senza valori spirituali e morali - “è come il sesso senza amore”. Schumacher non prospetta da nessuna parte un sentiero economico a otto vie – concentrandosi sul “retto stile di vita” nel suo saggio centrale sull'economia buddhista – ma io ho ricostruito da una serie di scritti di Schumacher, mischiati con varie idee economiche espresse dal Buddha, qualcosa di simile al sentiero economico a otto vie.
1. Tutta la produzione di beni e servizi si fonderebbe principalmente sul rispetto per la vita, una comprensione biocentrica del fatto che la vita significa di più degli esseri umani – significa animali, uccelli, piante, alberi – soprattutto alberi, aglli occhi del Buddha – significa l'ecosistema vivente, ruscelli e fiumi, foreste e laghi, colline e montagne, nuvole e piogge, e significa fondamentalmente la terra vivente – Gaia . Lei stessa, concepita come il solo pianeta autosufficiente, autoregolato, della galassia il quale non abbozzerà all'infinito gli abusi umani senza contraccolpi.
2. Tutti i sistemi hanno dei limiti, e bisogna tenerne conto in ogni atto economico, e la sovrautilizzazione di risorse o specie o la loro distruzione verrebbero visti come un atto criminoso di violenza, e la sovrapproduzione di una risorsa o una specie, come l'essere umano, sarebbe vista come un atto criminoso di avarizia e ingordigia, per non dire di stupidità.
3. La principale unità di produzione sarebbe la comunità, entro una bioregione autoreferenziale, che si impegnerebbe a produrre tutto ciò di cui necessita, evitando il commercio fra lunghe distanze eccetto per i beni non essenziali della bellezza e le decisioni politiche ed economiche sarebbero prese democraticamente a quel livello.
4. I consumi verrebbero limitati, poiché non sono un fine giusto in sé per sé ma un mero mezzo per il benessere umano, il quale abbisogna di poco per soddisfare le sue necessità vitali: il fine della vita economica non è la moltiplicazione dei bisogni ma la soddisfazione delle necessità fondamentali.
5. I beni prodotti e i mezzi di produzione incarnerebbero i quattro princìpi cardinali del “più piccolo, più semplice, più economico, più sicuro” – vale a dire, tecnologia a misura d'uomo, comprensibile, alla portata di tutti, e non violenta.
6. Gli unici lavori sarebbero quelli che migliorano il lavoratore, contribuiscono alla comunità, e che producono nient'altro che i beni necessari – e dico beni, non mali.
7. Tutti queli che desiderano farlo lavorerebbero, in quanto scopo del lavoro non è di produrre cose che soddisfano la bramosia ma piuttosto che nutriscano e sviluppino innanzitutto l'anima individuale, ponendosi come obiettivo quello di appagare la più elevata natura del carattere umano.
8. Tutte le decisioni economiche verrebbero fatte in accordo con il principio buddhista: “Cessa di fare il male, cerca di fare il bene”, e la definizione di bene sarebbe tutto ciò che preserva e potenzia l'integrità, la stabilità, la diversità, la continuità e la bellezza delle specie viventi e dei sistemi; tutto quello che provoca il contrario è male.
Ecco il nobile sentiero a otto vie dell'economia Buddhista. Ma vi chiedo, pensate che abbia una minima speranza di successo nel mondo che conosciamo noi?
Molte persone hanno affermato per molti anni quanto sia necessaria una cosa del genere, che dobbiamo ripensare l'economia globale prima che sia troppo tardi. Io non penso che abbiamo avuto alcun risultato significativo nel modificare le menti delle persone che gestiscono le economie mondiali o che li abbiamo convinti della necessità di un cambiamento radicale. Dobbiamo stare molto attenti riguardo a questa idea di “cambiamento”.
Lasciatemelo dire bruscamente: non dobbiamo avere l'illusione che sia possibile riformare le istituzioni e i sistemi del capitalismo industriale avanzato. Non dobbiamo sprecare energia intellettuale o tempo a sognare i modi di far funzionare meglio queste istituzioni – non dobbiamo deludere noi stesi con la visione limitata, per esempio, degli attivisti no-global di Porto Alegre, o di quegli economisti liberali che pensano che i governi decreteranno “tasse ambientali”, o di quegli studiosi che pensano che le Nazioni Unite avranno la volontà e il potere di cambiare i massimi sistemi in modo radicale – tramite la gestione della distribuzione dell'acqua, ad esempio – o di quegli attivisti che credono che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale possano essere riformate in istituzioni amiche dell'ambiente.
Non possiamo riformare il sistema economico. Il problema, vedete, non è cosa c'è in questi governi, istituzioni e sistemi, ma in cosa essi sono – non in quel che fanno ma cosa sono. Essi sono gli strumenti dell'economia del caos e questo è tutto ciò che possono essere, Ecco perché esistono al primo posto. Essi non saranno – non possono esserlo – trasformati in strumenti dell'economia Buddhista, o invero in qualsiasi cosa si avvicini al tipo di economia del nobile sentiero. Non ci si può aspettare che abbiano valori morali, spirituali, ambientali, non importa quanti bei discorsi e articoli e libri li supplichino. L'economia del caos è chiaramente incapace di riformarsi.
Non voglio fare la Cassandra della situazione, ma penso che sia meglio comprendere la verità sul sistema e il suo inevitabile futuro. Sicuramente imploderà, forse nelle prossime due decadi, sicuramente per la metà del secolo, perché continuerà a fare essenzialmente ciò che fa ora.
Le cause saranno tante e sinergiche: degrado ambientale, riduzione di acqua dolce e suolo fertile, mutamenti climatici, assottigliamento dell'ozono, aumento del livello dei mari, deforestazione e desertificazione, sovrappopolazione, esaurimento di petrolio e risorse minerarie, ripresa delle malattie, della guerra e della ribellione, terrorismo e crimine inarrestabili, disintegrazione degli stati-nazione, depressione globale e catastrofe delle principali valute, tecnologie biologiche e robotiche fuori controllo – e questo tanto per cominciare.
Per timore che mi consideriate un allarmista, fatemi citare altre due fonti.
La prima è la Dichiarazione di più di 100 premi Nobel e 1600 membri delle accademie nazionali di scienza sparsi in tutto il mondo che affermano che i tassi attuali di attacco all'ambiente e di aumento della popolazione non possono continuare senza “ gran sofferenza umana” e un pianeta così “irrimediabilmente mutilato” da non essere in grado di sostenere la vita nel modo che conosciamo”. E questo avvertimento fu lanciato nel...1992, più di un decennio fa, e il fatto è che non solo il nostro attacco all'ambiente non si è arrestato o ridotto, ma è sensibilmente aumentato da allora. Gli scienziati, che studiano queste cose da vicino, potranno pure dirci che stiamo distruggendo il pianeta, ma i politici di ogni colore, e gli interessi corporativi e finanziari a cui sono asserviti, non hanno intenzione di ascoltare, invero non hanno modo di ascoltare.
La seconda fonte è il Report Mondiale sull'Acqua delle Nazioni Unite, emanato per rompere il silenzio lo scorso Marzo. In esso, il Direttore Generale dell'UNESCO Koichiro Matsuura dice senza mezzi termini che “di tutte le crisi sociali e naturali che gli umani sperimentano, la crisi idrica è quella che soggiace alla nostra sopravvivenza e a quella della Terra”. Inoltre, la relazione continua, “nonostante la prova schiacciante ampiamente disponibile della crisi, l'impegno politico di capovolgere questo trend è mancato... Per tutti gli scorsi 25 anni...alcuni obiettivi sono stati decisi per migliorare lo sfruttamento delle risorse idriche ma praticamente nessuno è stato conseguito” - e “praticamente nessuno” per l'ONU significa “nessuno”. Il documento aggiunge: “problemi di atteggiamento e comportamento sottendono al cuore della crisi, inerzia a livello dirigenziale, e una popolazione mondiale non completamente consapevole dell'entità del del problema. Questo significa che falliamo nell'intraprendere in tempo utile le dovute azioni correttive”. Nella questione più importante, “falliamo”.
Invece, l'economia del caos va avanti a pieno ritmo con la privatizzazione, l'indecente commercializzazione delle risorse idriche pubbliche perché questo, e non la salute del pianeta, è nell'interesse dei poteri corporativi e finanziari. E questo, ve lo ricordo, è il destino di una sola delle risorse della terra. Se non prestiiamo attenzione alla perdita di acqua potabile, perché dovremmo farlo riguardo alle altre crisi? Ovviamente non lo faremo, almeno fin quando non sarà troppo tardi, perché sono questioni irrilevanti per l'economia del caos.
Eppure, non penso che sia consigliabile nascondere la testa sotto terra. Penso fermamente che sia una buona idea e un'impresa degna di lode quella di lavorare ora per forgiare un'economia buddhista, o escogitarne i meccanismi, prima che sia troppo tardi, anche solo per avere qualcosa da piazzare al posto dell'economia del caos quando ve ne sarà l'opportunità.
Non sono ottimista, ovviamente, riguardo alla possibilità che ciò possa essere fatto. Ma se succedesse sarebbe solo in concomitanza con una cessazione immediata di tutti i programmi riformisti e le politiche che perpetuano le istituzioni capitalistiche, e delle rivendicazioni di tutti quei riformisti attivisti e accademici verso uno sforzo di massa per alterare il sistema di valori fondamentale della popolazione mondiale, così da crearne uno nuovo.
Questi valori che sottendono all'economia buddhista – un prezioso riguardo (o forse dovrei dire “amore”) per la terra vivente, un approccio fondamentalmente morale al lavoro e alla produzione, un rifiuto del materialismo per l'affermazione della spiritualità, una visione della società ordinata a livello umano e comunitario – questi sono i precetti che in qualche modo devono essere presi nel cuore e nelle menti dei nostri simili in ogni dove.
Non possiamo cambiare il mondo finquando non cambiamo i suoi valori. Non sono, ripeto, ottimista del fatto che i valori dell'economia buddhista prevarranno. Ma so per certo che è nel loro miglioramento, sviluppo e diffusione che i retti mezzi di sostentamento risiedono.
E a questo punto suggerisco che ognuno di noi dedichi la propria vita esattamente a questi obiettivi, guidato da Schumacher stesso, che scriveva: “Non posso io stesso alzare i venti che ci spingerebbero verso un modo migliore. Ma posso almeno issare la vela, in modo da catturare il vento quando viene”.
Traduzione per Peacelink a cura di Agostino Tasca
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