Genova

Gli episodi di gratuita repressione sono all'ordine del giorno: impossibile parlare di errori o eccessi

G8 e non solo, è tempo di democratizzare la polizia

18 dicembre 2004
Graziella Mascia
Fonte: Liberazione

La magistratura genovese rinvia a giudizio 28 poliziotti per il massacro alla scuola Diaz del 21 luglio 2001, tra cui tutti i massimi esponenti presenti sul posto quella notte, e il ministro dell'Interno dichiara: «La polizia attende serenamente, sarà in grado di superare anche questa prova».

Non vogliamo certo disquisire sulle dichiarazioni, ma, a nostro avviso, questo processo dovrebbe essere invece l'occasione per riflettere sul ruolo delle forze dell'ordine nel nostro paese e della necessità di una riforma mai realizzata dalla Liberazione ad oggi.

Forse chi, come noi, stava a Genova in quei drammatici e straordinari giorni del G8 non riesce a liberarsi da una sindrome che impedisce alla memoria di cancellare le violenze e gli abusi di cui siamo stati vittime o testimoni, ma, anche sforzandoci di guardare dal di fuori quelle vicende, ci pare improponibile catalogare i comportamenti delle forze dell'ordine come errori o eccessi.

L'irruzione alla scuola Diaz è stata decisa a tavolino per tentare di dimostrare la presenza, nella sede del Social forum, dei cosiddetti black-bloc, e tentando così di giustificare gli episodi dei giorni precedenti, dove, tra l'altro, è stato ucciso Carlo Giuliani. Una strategia di criminalizzazione del movimento, per cui i poliziotti sono arrivati persino a costruire false prove e denunciato tutti i 93 manifestanti che dormivano in quella sede, 63 dei quali picchiati brutalmente.

Difficile considerare tutto ciò errori o eccessi, tanto più se fa seguito alle vicende di piazza, alle botte a Bolzaneto. Impossibile soprattutto perché ancora va scritta la verità su quelle giornate: noi vorremmo che fosse il parlamento a farlo, attraverso una commissione di inchiesta ancora negata, ma il lavoro di inchiesta del movimento ha disvelato in questi anni nuovi inquietanti elementi. Così, apprendiamo tra l'altro, che tra le torture subite da Lorenzo Guadagnucci la notte della Diaz ci sono segni che potrebbero essere stati prodotti da scosse elettriche, e che i carabinieri del battaglione "Lombardia", prima ancora di caricare in via Tolemaide il 20 luglio, impugnavano manganelli e spranghe assolutamente non regolamentari. Altri carabinieri, quasi due anni dopo, intervengono all'ospedale San Paolo di Milano la notte della morte di Dax e picchiano i suoi compagni che sono andati a chiedere notizie con torce e mazze da base-ball. Errori ed eccessi anche quelli?

Episodi di gratuita repressione sono all'ordine del giorno: a Padova, due giorni fa, poliziotti picchiano ragazzi dell'università che attaccano manifesti; la notte prima a Roma poliziotto rambo punta la pistola verso esponenti di Esc che tentano di difendere una ragazza dalle botte di un bruto, li porta al commissariato e, per rimediare al duplice gravissimo abuso, li denuncia per resistenza. Ma basta consultare l'archivio delle interrogazioni del Prc per rendersi conto di quanti episodi di quotidiana ingiustizia sono vittime giovani dell'università, delle scuole o dei quartieri metropolitani.

Nelle assemblee, che si moltiplicano a questo proposito, parliamo però di repressione e controllo, perché le forme di intimidazione e di repressione del conflitto sociale passa ormai per la cosiddetta "prevenzione", una volta nominata come accezione positiva, ma che invece assume chiaramente la forma del controllo totale e pressoché indiscriminato (dalle intercettazioni alle telecamere), al punto da allarmare il garante della privacy.

La fantasia repressiva ha intaccato anche l'uso del codice penale, così, oltre al moltiplicarsi di denunce ingiustificate, con l'utilizzo smodato dei reati di opinione, registriamo decine di sanzioni amministrative per il più banale episodio (mai sentito parlare di urla sediziose per slogan urlati contro un comizio fascista?) o riesumazioni di strumenti di periodi storici che speravamo sepolti come il confino o l'obbligo di firma.

Qualche studioso ha scritto, dopo Genova, che, nonostante la brutalità delle forze dell'ordine, sono esperienze da considerare dentro una dinamica ciclica, che in ogni caso presenta un trend inequivoco verso la de-escalation.

Contestiamo questa lettura non solo per le storie di cui siamo testimoni, ma per il contesto e il carattere internazionale con cui oggi è necessario esaminare i comportamenti delle forze dell'ordine, le culture che sottendono agli stessi, la formazione che viene loro proposta.

Non abbiamo certo la pretesa di tracciare giudizi definitivi, ma certo di porre degli interrogativi a noi stessi e soprattutto alle altre forze politiche dell'opposizione. Infatti, se la riforma di smilitarizzazione della polizia dell'81 ha avuto soprattutto caratteristiche sindacali, una vera riforma, dopo la Liberazione, non si è mai realizzata e le proposte del Pci e del Psi degli anni '50 e '60 per un effettivo processo di democratizzazione non hanno mai fatto passi avanti.

Credo sia tempo di riprendere quei principi, di sconvolgente attualità, che intendono l'ordine pubblico come "garanzia dei diritti costituzionali, per rendere possibile l'esercizio dei diritti come mezzo di partecipazione effettiva del popolo alla sovranità".

Fra le tante questioni oggetto di confronto dentro la Gad, questo è certamente spinoso, ma inderogabile, se si vuole guadagnare credibilità tra le giovani generazioni.

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