Lottiamo insieme agli oppressi per la costruzione della pace in Congo
Come è difficile riuscire a dar senso alla croce nella tragedia senza fine vissuta dal popolo congolese e dai suoi pastori disposti a condividerla.
E come è facile quindi cadere in tentazione, quando la realtà è angoscia come nell’orto degli olivi.
Di fronte a queste tentazioni storiche in un momento cruciale per il futuro del Paese, la Chiesa congolese ha oggi bisogno di nuovi slanci per continuare, come prima e più di prima, a giocare il suo ruolo profetico. I vescovi e in genere i pastori in Congo in questo momento hanno un ruolo chiave di guida spirituale nell’edificare il futuro del Congo e nel guidare un popolo che ha vissuto momenti di sbando nel suo cammino verso la pace e verso la democrazia. E che oggi si prepara a vivere degli avvenimenti di importanza cruciale per l’avvenire non solo del Congo ma di tutta l’Africa.
Insisto: oggi più che mai qui in Congo, in questo clima in cui gli ultimi sono sempre più ridotti a vittime è facile cedere, cadere nella tentazione di fuggire al proprio impegno in favore degli oppressi per la giustizia sociale.
Lo dico anche per me, che mi dichiaro in Italia missionaria da avamposti e che sono ufficialmente al servizio degli ultimi: di fronte alle pressioni dei piccoli potenti prepotenti che già hanno ricevuto la loro ricompensa grazie al sopruso, come è forte anche per me la tentazione, per quieto vivere (o forse solamente per sopravvivere?) di venire meno al mio impegno di camminare a fianco degli ultimi che sono le vittime di sempre. A chi piace giocare il ruolo di vittima? Non è molto più gratificante il ruolo del vincitore, o magari quello dell’eroe? Occorre invece per tutti noi impegnati nella difesa dei diritti degli ultimi, saper perseverare, con una speranza coraggiosa e ferma davanti alla tentazione di accontentare chi già possiede, anche a costo di divenire noi stessi bersaglio dei suoi ricatti. Senza però cedere ai suoi ricatti, perché sarebbe venir meno alla dignità di figli di Dio a cui siamo chiamati.
Ci occorre in questo momento una grande fermezza di fronte alle pretese di chi già possiede a sufficienza di che vivere e non ha preoccupazioni economiche. Non dobbiamo cedere, non ne abbiamo il diritto, perché la costruzione della pace del Congo dovrà essere figlia della giustizia distributiva e non solo della riconciliazione delle fazioni in lotta.
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