Argentina, giustizia per i desaparecidos
15 giugno 2005
Rosita Cavallaro
Fonte: Il Mattino
«Abbiamo convissuto per anni con assassini che dovevano essere condannati, adesso pagheranno». C'è commozione nelle parole di Estela Carlotto, presidentessa delle «abuelas», le nonne di Plaza de Mayo, l’associazione che da qualche anno si è affiancata a quella delle Madri di Plaza de Mayo. Appartiene anche a loro la vittoria storica di un’Argentina che ieri ha atteso salutato con soddisfazione l'annullamento da parte della Corte Suprema, delle leggi che fino ad oggi avevano consentito l’immunità ai responsabili della dittatura che tra il 1976 ed il 1983 insanguinò il Paese. In Argentina, in quegli anni, ci furono trentamila «desaparecidos» (scomparsi). Torture, esecuzioni di massa, lancio degli prigionieri dagli aerei (i cosiddetti «voli della morte») colpirono militanti di sinistra, sindacalisti, studenti, semplici oppositori. Le due «leggi del perdono» annullate sono quella del «Punto finale», che fissava un termine di 60 giorni per presentare le denunce dei delitti della dittatura, e quella dell'«Obbedienza dovuta», secondo la quale i subordinati non potevano essere giudicati in quanto obbedivano agli ordini dei superiori. Le due leggi rappresentarono una vera e propria opera di cancellazione della memoria, nata sotto il governo Alfonsin e completata dall'indulto per 216 militari, del presidente Carlos Menem. Si calcola che i militari che ora potrebbero finire sul banco degli imputati sono fra 500 e mille, il 10% dei quali ancora in servizio. «Non avremmo mai smesso di lottare fino a che il governo attuale non ci avesse ascoltate», aggiunge Estela sotto il suo fazzoletto bianco. E che la sua voce e quella delle Madri e delle Nonne di Plaza di Mayo sarebbe stata ascoltata lo anticipò lo stesso presidente Kirckner quando, ancora non nominato, promise l'abrogazione delle «leggi del perdono». In una giornata di festa collettiva, anche il presidente ha voluto esprimere la sua approvazione e la sua gioia per la decisione della Corte. «Si trattava di leggi che ci riempivano di vergogna - ha detto Kirckner in un discorso a Villa Maria, vicino Cordoba - è una sentenza che ci consente di riappropriarci della nostra dignità e soprattutto della fede nella giustizia. Perché non esiste società senza verità e giustizia». Eppure, negli ultimi anni si erano espressi contro le due leggi, anche il Senato della Repubblica e i vari tribunali di secondo grado, stabilendone la nullità. Mancava però l'ultima parola, la più importante, quella di una Corte che ieri con sette voti su nove ha deciso di non lasciare impuniti i responsabili delle repressioni che dal 1976 al 1983 hanno cancellato 30000 persone. «Adesso devono pagare per tutto», è stata la prima reazione di Nora Cortinas presidentessa delle Madri di Plaza de Mayo, che dopo aver appreso la notizia, si è precipitata nella storica piazza (dove per anni le donne hanno manifestato) insieme a tante altre madri, per festeggiare una delle vittorie più attese. Ha i capelli imbiancati dal tempo Nora, ma non dimostra i suoi anni. Vuole ricordare suo figlio. «Gustavo - racconta - aveva appena 24 anni quando in una fredda mattina d'aprile uscì di casa e non tornò più. Lo sequestrarono nella stazione mentre andava al lavoro. Era il 15 aprile del 1977. Da quel momento abbiamo cominciato un lungo pellegrinaggio per trovare Gustavo. L'abbiamo cercato negli obitori, abbiamo parlato con giornalisti, politici e militari. Siamo andati persino dal Papa. Volevamo solo la verità». E se la decisione della Corte non aiuterà Nora, come tante altre madri, a ritrovare il figlio, un effetto lo avrà. «Quello di avere giustizia - aggiunge Nora - Questa gente, se così si può chiamare, ha commesso degli atti efferati con terribile crudeltà». L’anziana donna ricorda la «picana», una tortura inflitta alle donne incinte. «...Sono arrivati a torturare anche i bambini nel ventre materno applicando una scossa elettrica nella vagina delle detenute». Adesso la decisione della Corte aprirà nuovi scenari e tante attese come quella della legittimazione del «processo Esma», dal nome della scuola di Meccanica di Buenos Aires dove furono torturati ed eliminati molti dei 30.000 desaparacidos.
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