Dove l'acqua c'è. Ma è per pochi
In uno dei paesi più ricchi di biodiversità e di risorse naturali del globo, dove la militarizzazione (e i paramilitari), la corruzione e il narcotraffico dominano la scena politica e sociale del paese, si fa strada una mobilitazione sociale e ambientalista che dichiara l'acqua un diritto umano e diventa protagonista di una campagna contro la privatizzazione dei servizi idrici. La Colombia è uno dei paesi con la maggiore disponibilità di acqua dolce del globo, con un'offerta di 54 litri al secondo per kmq, pari a quattro volte la media del continente sudamericano e sette volte la media mondiale. Una quantità sufficiente per soddisfare le necessità di tutta la popolazione. Nonostante ciò, secondo i dati dell'Istituto di Idrologia, meteorologia e studi ambientali (Ideam), nel 2025 solo il 70% della popolazione del paese avrà accesso ad acqua di buona qualità. Attualmente il 50% della popolazione delle aree rurali non è raggiunta da un acquedotto, mentre il 60% non è raggiunta dalle fognature. Un panorama migliore si ritrova nelle aree urbane, con il 97% della popolazione coperta dalla rete idrica e l'86% raggiunta dai servizi fognari. Una situazione paradossale, che rischia di essere peggiorata se sarà approvata la Ley de agua sulle privatizzazioni e sarà implementato il Trattato di libero commercio con gli Usa. L'oro blu sarebbe in questo modo trasformato in una merce, come già avviene in parte attraverso l'ipocrisia di «imprese pubbliche» le cui azioni appartengono però a multinazionali come Vivendi, Suez, Aguas de Barcelona, per citare alcuni nomi illustri. In risposta a tutto ciò la rete di organizzazioni ambientali Ecofondo ha lanciato la seconda fase della campagna in Difesa dell'Acqua come Bene pubblico e come Diritto umano, a cui aderiscono circa sessanta organizzazioni del paese. Se la prima fase ha permesso di informare e sensibilizzare la società civile, la seconda ha come obiettivi il riconoscimento del diritto all'acqua in Colombia e la gestione pubblica dei servizi idrici, sulla base della protezione dell'ambiente e di una gestione sostenibile. L'esperienza colombiana nasce sulla base della mobilitazione globale per l'acqua. Vale la pena citare l'esperienza dell'Uruguay che nel 2004 ottenne, mediante plebiscito popolare, che il diritto all'acqua e la gestione pubblica dei servizi idrici fossero riconosciuti come principi costituzionali. E proprio dall'esempio dell'Uruguay, unico al mondo, prende spunto quella che sarà la principale azione della campagna colombiana: la proposta di un referendum che permetta di sancire gli stessi principi riconosciuti nel paese rioplatense. La strada intrapresa dalla Colombia non è delle più facili. In un paese dove il narcotraffico, la paramilitarizzazione, la corruzione e la presenza di una fittizia democrazia elettorale sono una triste realtà, pare difficile un'azione che sancisca principi di partecipazione e di uguaglianza sociale. A questo si aggiunge la complessa normativa colombiana, con una burocrazia complessa che prevede una doppia raccolta firme e una discussione parlamentare perché si arrivi alla votazione popolare. Ma Juan Camilo Mira, coordinatore delle campagna colombiana, sembra ottimista: «Esiste la possibilità che l'iniziativa abbia successo. L'attuale congiuntura politica permette di pensare che, sebbene il popolo appoggi il governante di turno, la pensa in maniera differente rispetto alle politiche pubbliche. Vi sono poi altri segnali che permettono di essere ottimisti. In primo luogo il senato, che è sul punto di votare contro il trattato di libero commercio con gli Usa. Se questo cade, la nostra proposta può avere successo». Ma il referendum rappresenta solo una parte della campagna nazionale. «E' ormai chiaro che i conflitti per l'acqua dipendono da cause strutturali. Tra queste vi sono il modello di occupazione e utilizzo del territorio, l'iniquità nell'accesso alle risorse, la bassa partecipazione sociale. Per questo consideriamo importante attaccare le cause e non le conseguenze. Fino ad oggi abbiamo sempre agito sulla difensiva, in risposta a quello che il governo faceva o non faceva. Adesso la strategia è quella agire mediante proposte di respiro nazionale e internazionale», spiega Mira, per il quale «il referendum rappresenta anche uno strumento per far crescere la bassa mobilitazione sociale». E poi, «come ambientalisti abbiamo la necessità di vincere per la prima volta una battaglia. Così la gente prenderebbe sul serio, una buona volta, i profeti che annunciano la catastrofe».
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