Messico: nasce la Red Mexicana de Afectados por la Minería
Lo scempio del territorio tramite l'estrazione dell'oro e di altri metalli sta prendendo sempre maggiormente piede in tutta l'America Latina e, al pari dell'agrobusiness, è divenuta tra le maggiori fonti di guadagno per le transnazionali e al tempo stesso una catastrofe per le comunità costrette a convivere con il conseguente avvelenamento dell'acqua e di tutte le altre risorse naturali in genere.
Proprio per difendersi da situazioni di questo tipo, condividere esperienze comuni di lotta, elaborare nuove strategie di difesa ed evitare la svendita delle risorse del proprio paese alle multinazionali del settore minerario, nella comunità di Tamacapulín (stato di Jalisco, Messico), si è tenuto alla fine di Giugno il primo incontro della Rema (Red Mexicana de Afectados por la Minería) nel contesto del quinto Encuentro del Movimiento Mexicano de Afectados por las Presas y en Defensa de los Rios.
La costruzione di nuove dighe, così come lo sfruttamento intensivo del sottosuolo dovuto all'estrazione di oro, argento e uranio ha provocato in più di una circostanza lo sgombero forzato delle comunità della zona. Negli ultimi otto anni, fa notare la Red Mexicana de Acción Frente al Libre Commercio (Rmalc), il 10% del territorio messicano è stato consegnato, da parte dei vari governi di turno, alle principali transnazionali che operano nel settore minerario: tra i casi più noti l'estrazione di bauxite e zinco tra gli stati di Oaxaca, Puebla e Guerrero. Inoltre, il Messico si trova al primo posto in America Latina, e al quarto a livello internazionale, per gli investimenti nel settore minerario: per questo motivo i movimenti riuniti a Tamacapulín hanno contestato la cosiddetta Ley Minera, ritenuta obsoleta e priva delle più elementari norme ambientali e di sicurezza. La distruzione dei raccolti, la contaminazioni di fiumi e laghi, rifiuti pericolosi, terre divenute sterili rappresentano i danni maggiori che subiscono comunità e territori. Nella dichiarazione conclusiva dell'incontro, la Rema ha evidenziato "la falsa idea di sviluppo e progresso che la globalizzazione e la speculazione finanziaria provocano, costringendo i popoli a pagare i costi della distruzione sistematica della Madre Terra, quali l'etnocidio, la migrazione forzata, l'avvelenamento e la morte per le comunità danneggiate dall'estrazione dei metalli".
L'incontro della Rema, a cui hanno aderito, tra gli altri, Compitch (Consejo de Médicos y Parteras Indígenas Tradicionales de Chiapas) e Serapaz (Servicios de Asesoría para la Paz), non si è limitato però solo alla denuncia, ma è stato un luogo significativo di dibattito e di proposte. In particolare, si è discusso su una possibile elaborazione di leggi e norme alternative che regolino il settore minerario e sulla creazione di una sorta di patto di mutuo soccorso partecipato, democratico e popolare tra le varie comunità danneggiate dall'estrazione mineraria a cielo aperto.
A questo proposito è interessante citare l'esperienza del primo "Foro Binacional Minería y Recursos Naturales Transfronterizos" svoltosi nella città di El Castillo (Nicaragua) e a cui hanno partecipato movimenti costaricensi e nicaraguensi. Il forum si è svolto per analizzare il caso dell'estrazione dell'oro a cielo aperto nella zona di Crucitas de Cutris, dove si trova una miniera geograficamente collocata in Costarica ma a pochi chilometri dal fiume San Juan (in territorio nicaraguense). In una situazione non troppo diversa dal più conosciuto "conflicto de las papeleras" tra Argentina e Uruguay, i movimenti ambientalisti di entrambi i paesi hanno denunciato l'azione del governo costaricense che, tramite la deforestazione della zona attigua al fiume San Juan, ha già provocato danni enormi all'ecosistema e alla diversità biologica del territorio circostante. Se il progetto di estrazione mineraria andasse avanti sarebbe seriamente contaminato il corridoio biologico frontaliero El Castillo-San Juan-La Selva, las Reservas de la Biosfera Rio San Juan-Nicaragua e la Biosfera Agua y Paz-Costarica; nonostante il governo di Managua abbia più volte sollecitato quello del Costarica al fine di interrompere le attività estrattive, il caso non sarebbe giunto alla ribalta senza il lavoro congiunto del Foro Binacional e la sua denuncia.
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