Latina

La Conaie contesta la Ley de Recursos Hídricos e propone numerose modifiche

Ecuador: la revolución ciudadana strumento per il cambio sociale o soltanto slogan pubblicitario?

Secondo gli indigeni la legge mette a rischio i princìpi fondamentali della Costituzione
8 maggio 2010
David Lifodi

Un primo risultato i movimenti indigeni dell'Ecuador l'hanno raggiunto: l'assedio del Parlamento a Quito ha convinto le istituzioni e i partiti politici del paese andino a rimandare ad un data ancora da definire l'approvazione della contestata Ley de Recursos Hídricos. La legge, inoltre, sembra ora recepire nel testo in via di approvazione le proposte di modifica delle confederazioni indigene al termine di alcuni giorni caratterizzati da violenti scontri con la polizia, feriti da colpi di arma da fuoco e dirigenti dei movimenti prima arrestati e poi liberati.
Le proteste erano iniziate lo scorso martedì, quando il Parlamento stava apprestandosi a votare la "Ley Orgánica que Regula los Recursos Hídricos y el Uso y Aprovechamiento del Agua". La legge prevede la creazione di una Autoridad Única del Agua controllata dal governo, uno dei punti maggiormente criticati dagli indigeni. Nonostante il presidente dell'Assemblea Nazionale Fernando Cordero avesse dichiarato che il parlamento avrebbe preso in considerazione le richieste di miglioramento della legge formulate dagli indigeni e la Costituzione ecuadoriana consideri già l'acqua come bene su cui non è permessa alcuna forma di appropriazione a livello individuale o collettivo, di fatto la Ley de Recursos Hídricos contiene numerosi punti ambigui su cui soprattutto la Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador) ha voluto chiarire la sua posizione. In primo luogo, un aspetto abbastanza controverso è quello relativo alla concessione della distribuzione ad opera del governo, il che aprirebbe implicitamente le porte della privatizzazione, vietata espressamente dalla Costituzione. E' facile immaginare che per ottenere la concessione del servizio si potrebbe verificare una situazione simile a quella che nel 2000 aveva portato alla controversia tra Bechtel e movimenti sociali e indigeni in Bolivia sfociata poi nella guerra dell'acqua di Cochabamba. In seconda istanza, il ruolo dell' Autoridad Única del Agua è obiettivamente ambiguo, spiega ancora il portavoce della Conaie Marlon Santi. Un segretario nazionale per l'acqua nominato dal governo non sarà mai sopra le parti come invece potrebbe essere un Consiglio Plurinazionale, espressione di quello stato plurinazionale verso cui si è incamminata, anche se in modo talvolta superficiale a ancora non del tutto compiuto la revolución ciudadana del presidente Correa. Il Consejo Plurinacional, secondo le richieste indigene, dovrebbe essere composto da un pari numero di delegati provenienti dal governo e dalla società civile. Dura la risposta del presidente Correa, che a più riprese ha dichiarato di non comprendere la protesta indigena, soprattutto per il processo di inclusione delle comunità di cui si è sempre fatto portavoce il suo governo. La stoccata alla Conaie arriva però quando il presidente ha accusato i movimenti indigeni di ricevere finanziamenti dall'estero per organizzare le proteste sociali.
L'Ecuador corre il rischio di trasformarsi in una nuova frontiera della guerra per l'acqua. Negli ultimi venti anni le grandi lobby finanziarie che controllano il paese (imprenditori dell'agro-business, bananeros e proprietari della terra) controllano il 67% delle risorse idriche del paese. Se a questo si aggiunge l'apertura del governo di Rafael Correa alle centrali idroelettriche e all'industria mineraria, si capisce come la nuova Costituzione dell'Ecuador, che pure è una delle più avanzate del continente sudamericano e non solo, rischi di lasciare solo sulla carta parole d'ordine fondamentali, a partire dal diritto umano all'acqua. Proprio alla Costituzione si richiamano Conaie, Ecuarunari, che pure riconoscono notevoli cambiamenti rispetto alla prima Ley de Aguas risalente al 1972, di stampo semifeudale e con la concessione di pieni poteri ai latifondisti senza alcun rispetto dei diritti minimi fondamentali. L'articolo 98 della Costituzione sancisce infatti il diritto alla resistenza della società civile di front ad azioni od omissioni del potere pubblico che violino gli stessi diritti costituzionali. Secondo il movimento indigeno il governo non avrebbe alcuna intenzione di aprire un dialogo reale con loro, spingendosi fino a definire la revolución ciudadana come un semplice "slogan pubblicitario".
Nel frattempo il dibattito in Parlamento continuerà nei prossimi giorni, non sono escluse ulteriori proteste delle comunità indigene.

 

 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l'autore.

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