Messico: Hasta siempre Don Samuel
Festeggiano. In privato e in pubblico, perfino sfilando di fronte al feretro. Il loro è un falso cordoglio, è quello dei personaggi politici, locali e nazionali, dal governatore chiapaneco Juan Sabines Guerrero all'inviato personale del presidente Calderón, Luis Álvarez. Hanno deciso di dar luogo ad una sorta di passerella per salutare Don Samuel Ruiz, il vescovo degli indigeni e dei poveri scomparso lunedì scorso. L'Ezln lo ha sottolineato con forza nel suo toccante messaggio di saluto a "El Caminante", uno dei tanti nomignoli affettuosi con cui era soprannominato Don Samuel.
"Per molti anni sono stato come un pesce, dormivo con gli occhi aperti, guardavo e non vedevo", amava ripetere Ruiz, riferendosi alla trasformazione del suo pensiero quando, a soli 35 anni, fu nominato vescovo di San Cristobal de las Casas. Tatic (padre in lingua tzotzil) scoprì la complessa realtà del Sud-est messicano e del Chiapas in particolare, capì che gli indigeni valevano meno delle bestie (ed è ancora così per latifondisti, paramilitari e aristocrazia locale ad essi collegata) e da allora entrò nel solco di quella generazione di cristiani e credenti impegnati che non è mai stata complice di fronte alle violazioni dei diritti umani, civili e sociali in tutta l'America Latina, da Proaño a Hélder Camara fino a Romero, Juan Gerardi, Casaldáliga e il cardinale Arns solo per citare i più conosciuti. A questo proposito è significativa la testimonianza di Don Samuel in "Chiapas, perché?" pubblicazione curata dal gruppo Mani Tese di Lucca uscita nel 2000: "Da noi il problema non è come annunciare Dio a un mondo ateo, il nostro è un mondo credente, solo che qui abbiamo il <
Ruiz è stato interprete dei cambiamenti sociali avvenuti in Chiapas ed ha restituito la dignità alle popolazioni indigene: il lavoro del Frayba e della Diocesi di San Cristobal andrà avanti, anche se peserà l'assenza di una figura storica del Messico (e di tutto il continente latinoamericano) del nostro tempo.
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