Latina

La complicità tra le istituzioni governative e la criminalità organizzata ha determinato il massacro di Iguala

Messico: juvenicidio di stato

Crescono le proteste in tutto il paese, ma Enrique Peña Nieto usa il pugno di ferro
17 novembre 2014
David Lifodi

internet Il quadro che emerge dal Tribunale Permanente dei Popoli, riunitosi dal 12 al 14 novembre scorso per deliberare su libero commercio, violenza, impunità e diritti dei popoli in Messico è preoccupante. Sono numerosi i casi di violenza nei confronti di lavoratori, donne, migranti studenti, difensori dei diritti umani, giornalisti, gruppi e movimenti politici, di cui l’ultimo esempio è stato il massacro dei normalistas della scuola rurale di Ayotzinapa avvenuto nella città di Iguala, stato del Guerrero, il 26 settembre 2014. Il Messico è nelle mani del crimine organizzato in un groviglio che accomuna narcos, partiti ed uomini politici fino ai vertici delle istituzioni.

Lo scorso 4 novembre sono stati arrestati il sindaco di Iguala, José Luis Abarca, e la moglie María de los Ángeles Pineda, accusati di essere i mandanti della caccia allo studente scatenata contro i normalistas. Sono stati gli stessi agenti e i sicari del cartello della droga Guerreros Unidos a indicarli come gli autori intellettuali del crimine. Abarca avrebbe ordinato la strage per impedire che gli studenti contestassero un’iniziativa politica a cui avrebbe dovuto partecipare la moglie, María de los Ángeles Pineda, candidata alla successione del marito alla guida della città. Del resto, entrambi disponevano di agganci e conoscenze di primo piano tra i cartelli: la stessa moglie di Abarca disponeva di due fratelli agli ordini del clan dei Beltrán Leyva. Nonostante il caso di Iguala abbia fatto il giro del mondo, il presidente messicano Enrique Peña Nieto ha deciso comunque di partecipare al vertice Apec ed ha iniziato un viaggio che lo ha condotto prima in Cina  poi in Australia, senza curarsi delle crescenti manifestazioni di piazza in tutto il paese. Tra le mobilitazioni più clamorose quella del blocco dell’aeroporto di Acapulco, avvenuto ad opera di studenti e maestri e protrattosi per alcune ore prima che si verificasse la solita repressione dei militari. Il potere di cui dispone lo stato è tale che si parla di agenti provocatori infiltrati nei cortei studenteschi: alcuni mezzi di trasporto incendiati nei dintorni dellUniversidad Nacional Autónoma de México  (Unam) e il fuoco appiccato al portone del Palacio Nacional di Città del Messico e  a quello della capitale del Guerrero, Chilpancingo, sono stati utilizzati dall’estabilishment per giustificare l’ordine riportato con la forza dai militari ed uno stato di polizia permanente. Gli episodi di violenza sono serviti, inoltre, a Peña Nieto, per sorvolare anche sulla caduta del governatore del Guerrero, Angel Aguirre Rivero, anch’esso coinvolto nei fatti di Iguala. In Messico la convinzione che il paese sia sequestrato por una pandilla di ladrones y asesinos cresce quotidianamente, anche alla luce dello scempio dei corpi dei 43 normalistas desaparecidos: i giovani furono portati da narcos e poliziotti in una discarica non lontana da Iguala, in località Cocula, dove sono stati bruciati. I resti di quei corpi straziati sono stati raccolti in sacchi della spazzatura e gettati in un fiume che scorreva nei dintorni: è per questo motivo che i genitori dei giovani assassinati si sono rivolti all’Equipo Argentino de Antropología Forense (Eaaf), nella speranza di avere almeno quello che resta dei loro figli. Anche sotto questo punto di vista, lo stato non è esente da colpe. Finora José Luis Abarca non ha detto nemmeno una parola sul massacro dei normalistas: se parlasse scoperchierebbe un verminaio che sarebbe letale anche per le più alte cariche dello stato. L’assalto compiuto contro gli studenti non è un caso isolato, ma fa parte di una violazione sistematica dei diritti condotta da decenni da parte dello stato messicano: il paese, come negli anni ’70 e ’80, è pieno di fosse clandestine, mentre la guerra sporca contro qualsiasi forma di opposizione non è mai cessata, a partire dalla strage di Tlatelolco del 2 ottobre 1968 e dall’halconazo del 10 giugno 1971: anche allora, le vittime furono gli studenti. Negli ultimi otto anni, in Messico sono sparite migliaia di persone: gran parte di loro sono giovani e poveri e per questo lo stato messicano è accusato di juvenicidio. Sono molto giovani anche le donne vittime della violenza di genere e, più in generale, tutte quelle generazioni nate tra gli anni’80 e ’90, in piena epoca neoliberista, sottoposte ad uno sfruttamento e a delle precarie condizioni di vita. I giovani denunciano una vera e propria guerra scatenata contro di loro dallo stato e dai cartelli della droga suoi alleati per chiudere la porta in faccia alle generazioni future. Il giornalista italiano Federico Mastrogiovanni ha scritto da pochi mesi il libro Ni vivos ni muertos, uscito in Messico per Grijalbo. Ni vivos ni muertos era la cinica definizione utilizzata dal dittatore argentino Videla per definire i desaparecidos. Lo stato messicano, sottolinea Mastrogiovanni, invece di difendere la popolazione di fronte a molteplici fonti di violenza, semplicemente non interviene. I cartelli della droga hanno preso potere sfruttando il traffico di migranti che dal Messico cercano di passare negli Stati Uniti e poi cercando di inserirsi nel business delle risorse naturali di cui si vogliono impadronire le multinazionali, a partire dall’estrazione mineraria. Le sparizioni forzate, sottolinea Mastrogiovanni, sono in crescita negli stati di Nuevo León, Coahuila e Tamaulipas. In Messico, ha evidenziato più volte il giornalista italiano, il termine desaparición forzada non è utilizzabile allo stesso modo delle dittature degli anni ’70-’80 nel Cono Sur dell’America Latina, dove veniva attribuito esclusivamente agli oppositori politici: in Messico può sparire chiunque.

La complicità tra le istituzioni governative e la criminalità organizzata ha trasformato il Messico in un paese dove la legalità non esiste e in cui è stato applicato un piano preordinato per annichilire la società civile. 

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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