Latina

Ma la legge di amnistia varata nel 1979 dal regime per tutelare i militari è ancora valida

Brasile: il rapporto della Commissione nazionale per la Verità fa luce sui crimini del regime militare

In dodici anni di governo il Partido dos Trabalhadores non è riuscito ad abolire la legge
9 marzo 2015
David Lifodi

 

internet Finalmente la grande opportunità è arrivata: la presidenta del Brasile Dilma Rousseff, anch’essa imprigionata e torturata sotto la dittatura militare che si installò nel paese tra il 1964 e il 1985, potrebbe metter fine alle legge di amnistia varata nel 1979 da Ernesto Geisel per assicurare l’impunità a tutti i repressori: il rapporto elaborato dalla Commissione nazionale per la Verità, non solo fa luce sui crimini del regime, ma identifica quali erano i torturatori di allora.

Dei 377 militari coinvolti con la dittatura, 196 sono ancora in vita e dovrebbero pagare per le 434 persone assassinate e per i desaparecidos  inghiottiti dal Plan Cóndor, utilizzato dalle giunte militari latinoamericane allo scopo di eliminare gli oppositori politici e perseguitarli per tutto il Cono Sur del continente. La Commissione, presieduta da Rosa Cardoso, già avvocata di Dilma Rousseff di fronte ai tribunali che procedevano con processi farsa su indicazione della dittatura, ha invocato il diritto alla verità per i familiari dei desaparecidos, ricordando che nemmeno i governi petisti degli ultimi dodici anni sono riusciti a cancellare l’amnistia per i militari responsabili. L’amnistia non può trasformarsi in impunità per i repressori di allora, ma purtroppo non sarà così facile imporre il carcere ai torturatori. Secondo il rapporto della Commissione nazionale per la Verità, dietro al regime brasiliano ci furono gli Stati Uniti, che svolsero un ruolo di primo piano nell’insegnare le pratiche di tortura ai repressori formatisi alla famigerata Escuela de las Américas, la maggior parte dei quali andrà ad integrare la polizia politica della dittatura. Inoltre, sempre grazie alla Commissione nazionale per la Verità, è emerso il coinvolgimento di Usaid nel golpe che consentì ai militari di prendere il potere. Il ruolo della Escuela de las Américas (il cui nome è stato cambiato, nel 2001, nel più presentabile Instituto del Hemisferio  Occidental para la Cooperación en Seguridad) nelle operazioni di polizia e repressione nei confronti dell’opposizione al regime militare fu consolidato anche grazie alle attività di controinsurgencia svolte sotto il comando della Cia, responsabile, tra le varie malefatte, anche di aver varato il cosiddetto Manual Kubark, utilizzato per privare i prigionieri degli stimoli sensoriali al fine di disorientarli e spingerli così a collaborare con i militari. Ad esempio, particolarmente atroce fu il caso di Stuart Edgard Ángel Jones, guerrigliero del gruppo Mr-8 al quale fu imposto di respirare le esalazioni tossiche del tubo di scappamento di un’auto, come testimoniato da Alex Polari, compagno di lotta di Jones che vide tutto dalla sua cella. Il lavoro della Commissione nazionale per la Verità, che pure si formò nell’ottobre 2012, cioè quando Dilma Rousseff era già alla presidenza del paese, rischia però di rimanere ad un livello di sola testimonianza, nonostante le sue 4300 pagine che inchiodano alle loro responsabilità gli sgherri della dittatura. La stessa Dilma, dopo aver accolto con commozione il lavoro della Commissione sottolineando che il paese merita giustizia,  è altrettanto conscia che eliminare la legge di amnistia e seguire la strada dell’Argentina, che pian piano sta facendo i conti con il proprio passato grazie all’incriminazione di molti militari, è praticamente impossibile. Troppo forte il potere della lobby ancora legata al regime, che anzi, intende sfruttare ogni minima occasione per cacciare anzitempo Rousseff dal Planalto. Inoltre, in Argentina, nonostante le attuali violazioni dei diritti umani (dal caso di Julio López, il primo desaparecido in democrazia, agli abusi commessi dalla polizia soprattutto contro i giovani delle periferie) è stata la società civile a svolgere un ruolo di primo piano per combattere l’impunità dei torturatori, cosa che in Brasile è più difficile dal verificarsi, soprattutto per le grandi disuguaglianze sociali sotto molteplici aspetti, dalla questione agraria all’emergenza abitativa, passando per la questione indigena e ambientale: impossibile riuscire a far fronte a tutto. Eppure la giustizia per i desaparecidos significherebbe condannare e prendere le distanze dai crimini di cui si sono resi responsabili i vari generali alternatisi alla guida del paese (da Camilo Castello Branco a Emilio Garrastazu Médici, da Ernesto Geisel a João Baptista Figueiredo) e riscattare figure storiche della lotta di classe brasiliana, dalla colonna del Partido Comunista do Brasil che dette vita alla guerriglia in Araguaia tra il 1972 e il 1974, prima di essere sterminata, a leader di prima grandezza quali Carlos Marighella e Carlos Lamarca (capitano dell’esercito che nel 1969 disertò per unirsi alla lotta armata della Vanguarda Popular Revolucionária): entrambi furono uccisi dalla polizia politica, così come gli eroici frati domenicani che scrissero alcune tra le più belle pagine della resistenza brasiliana alla dittatura.

Fino a quando, in Brasile, continuerà a prevalere l’impunità?

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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