Eduardo Galeano e gli splendori e miserie dell'America Latina
13 Aprile 2015, scompare oggi una delle grandi voci dell’America Latina, quell’Eduardo Galeano che diceva di sè “io scrivo per quelli che non possono leggermi. Quelli che stanno in basso, quelli che stanno aspettando da secoli all’ultimo posto della storia, che non sanno leggere o non hanno i mezzi per farlo”. Ha cantato la storia del suo popolo, attraverso le gesta di calciatori entrati nella leggenda, in maniera frizzante, colorata, calda e intensa come il continente sudamericano e il suo libro ‘Splendori e miserie del gioco del calcio’ è esso stesso leggenda. Probabilmente iniziò a scriverlo per una sorta di invidiosa ammirazione verso quei giovani artisti del pallone, che sapevano incantare le folle, diventare giocolieri in mezzo al campo verde e lui, come tutti i ragazzini del mondo avrebbe voluto diventare come loro. Invece ha solo potuto immortalarli, come eroi d’altri tempi, nelle sue storie. “Come tutti gli uruguagi, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo; durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese.”
Vedeva la sua terra spogliata delle sue ricchezze, violentata da predatori senza scrupoli e dalle pagine dei suoi libri sgorgava il sangue rosso dalle ‘vene aperte dell’America Latina’. Perchè la storia di quella terra, infinitamente ricca è “la storia del saccheggio delle risorse naturali”. Ha osservato, ha narrato, ha vissuto, ci ha incantato con la sua arte. Era uno scrittore Eduardo Galeano, un cantastorie, un sognatore, un artista. L’America Latina oggi è un po’ più povera. “L'utopia è come l'orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L'orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l'utopia? A questo: serve per continuare a camminare.”
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