Colombia: il processo di pace in una fase di stallo
Una pace stabile e duratura passa necessariamente dal ruolo che assumeranno i guerriglieri al termine del conflitto, a partire dalla loro trasformazione da gruppo armato a formazione politica, ma anche dalle necessità di un esecutivo che si trova di fronte ad un bivio. Se il presidente Santos vuole suggellare la sua permanenza a Palacio Nariño con la firma degli accordi di pace deve fare in fretta. Nel 2017 si aprirà la campagna elettorale per le prossime presidenziali e, nonostante i negoziati siano in dirittura d’arrivo, il rischio maggiore sarebbe quello di vederli utilizzati in maniera propagandistica. Inoltre, la presenza di un altro presidente alla guida del paese potrebbe aprire uno scenario assai incerto. Se le Farc, in più di una circostanza, hanno fatto capire di voler raggiungere l’accordo e anche l’Ejercito de Liberación Nacional (Eln), l’altra formazione armata di ispirazione guevarista, ha reso pubblico l’inizio dei negoziati con il governo (lo scorso 30 marzo), la palla adesso passa nel campo di Palacio Nariño. La fase successiva a quella del conflitto armato resta comunque la più delicata e la guerriglia è memore sia dei precedenti tradimenti di palazzo (lo sterminio di oltre cinquemila militanti di Unión Patriótica all’inizio degli anni Ottanta) sia della lobby guerrafondaia ancora assai presente in seno all’elite colombiana e capitanata dall’ex presidente Uribe insieme a quelle formazioni paramilitari che vivono esclusivamente in funzione di un orientamento bellicista dello Stato colombiano. Tra i negoziati in corso all’Avana (dove è in svolgimento la trattativa con le Farc) e quelli a Caracas (dove è impegnato l’Eln) le tematiche sono comuni, a partire dalla transizione dei guerriglieri alla vita politica istituzionale. Tuttavia, a livello mediatico, le due guerriglie spesso vengono fatte passare come inaffidabili, quando in realtà, in più di una circostanza, Farc ed Eln hanno mostrato preoccupazione per la scarsa propensione dimostrata dal governo nello smantellare il paramilitarismo. Santos minaccia l’Eln di non sedersi al tavolo delle trattative se non sospenderà la pratica dei sequestri, ma non ha mai detto una parola sulle responsabilità dello Stato colombiano negli oltre cinquanta anni del conflitto. Nonostante i vertici dello Stato giurino che l’accordo si farà entro i primi giorni del 2017, Eln e Farc denunciano la sospetta quanto ambigua ondata di repentini cambiamenti ai vertici delle istituzioni colombiane. Se da un lato, lo scorso 20 aprile, il Senato della Repubblica ha approvato il cosiddetto Acto Legislativo para la Paz (compreso il Plan Nacional de Desarrollo, della durata di venti anni, caratterizzato da fondi destinati alle zone più colpite dal conflitto), preoccupa l'avvicendarsi degli uomini che, nello staff di Santos, hanno lavorato al tavolo dei negoziati, poiché si corre il rischio di rimettere in discussione quanto è stato già sancito. Inoltre, bisognerà vedere quanto lo Stato colombiano sarà disposto a coinvolgere la società civile nel processo di pace. Eln e Farc spingono per una maggiore apertura del negoziato alla società civile. I primi invitano Santos ad ampliare i negoziati alle comunità, mentre le Farc ritengono necessaria un'Assemblea Costituente come segnale per rifondare la nazione e, allo stesso tempo, per rendere più attiva la partecipazione della società colombiana. Il cambiamento, per entrambe le formazioni guerrigliere, passa attraverso la possibilità che la popolazione sia protagonista, e non semplice spettatrice, dei colloqui di pace: “Il dialogo”, ripetono Eln e Farc, “non può avvenire a porte chiuse”.
A rallentare il processo di pace, e ad aumentare l'incertezza sul buon esito dei negoziati, il preoccupante assassinio dei principali leader sociali, di cui sono responsabili i paramilitari riconducibili all'estrema destra, ostili a qualsiasi accordo di pace per la gioia dell'ex presidente Uribe, che ha sempre mantenuto con loro un rapporto privilegiato.
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