Ecuador: la protesta non si arresta
L'unico scopo di Lenín Moreno, già nei mesi successivi alla sua elezione, è stato quello di smantellare il correismo, pur non esente da contraddizioni. Soprattutto a livello economico, il presidente si è adoperato per preparare il terreno all'intervento del Fondo monetario internazionale. Ora, assediato dalle marce di ripudio e costretto ad inviare la polizia per sedare i cortei contro di lui e il suo governo, Lenín Moreno prova a calmare gli animi, giurando di aver raggiunto un primo passo verso il dialogo con i popoli indigeni. A smentirlo ha pensato subito la Conaie – Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador - che ha incolpato il governo della morte di alcuni suoi dirigenti, tra cui Inocencio Tucumbi, José Rodrigo Chaluisa, Marco Oto e Raúl Chilpe. Secondo il Defensor del Pueblo, Freddy Carrión Intriago, dallo scorso 3 ottobre sono state arrestate 864 persone, la maggior parte delle quali maltrattata dalla polizia.
La posizione del movimento contro Moreno è chiara: "Non negozierà né dialogherà con il governo fintanto che: non rimuoverà le riforme politiche che innalzano il prezzo della benzina e riformano l’economia, non rimuoverà lo stato di emergenza, non si dimettono la ministra Maria Paola Romo incaricata della polizia e Osvaldo Jarrín incaricato delle forze armate. Se queste condizioni non si accettano, il movimento sociale dice chiaramente che non dialogherà con il governo dato che queste sono le uniche condizioni mediante le quali aprire un dialogo". Questo è ciò che ha ha scritto Edoardo Meneses, esponente del movimento di educazione popolare e il cui messaggio integrale è stato ripreso sul giornale on line la Città futura.
Lenín Moreno e i suoi ministri, lo scorso 10 ottobre, pur affermando che non avrebbero mai revocato il paquetazo, hanno cercato di riannodare il dialogo con la Conaie pensando di comprarla tramite l'offerta di sussidi ai piccoli agricoltori, ma la proposta è stata rimandata al mittente. Non solo. Nel frattempo, mentre il governo fingeva di cercare un dialogo con i movimenti sociali, scateneva una nuova, violenta repressione contro gli indigeni giunti al parque El Arbolito, non lontano dal palazzo presidenziale di Carondelet, dove il presidente era stato costretto a tornare, in seguito alla breve fuga verso Guayaquil, poiché era stato abbandonato anche dal dirigente del Partido Social Cristiano Jaime Nebot, esponente di primo piano dell'oligarchia costeña dell'Ecuador.
Una cosa è certa: le mani del governo sono macchiate di sangue, ma verso l'Ecuador non c'è lo stesso interesse mediatico per il Venezuela e nessuno sembra essere interessato a denunciare la situazione sempre più drammatica di un paese nelle mani di un manipolo di repressori screditati anche da una parte della stessa oligarchia.
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