Messico: devastazione ambientale e assenza di diritti
Lo scorso 16 febbraio, un gruppo di studenti della Scuola normale rurale Mactumatzá stava informando la popolazione sui prossimi incontri dei genitori dei 43 studenti della scuola normale rurale Isidro Burgos di Ayotzinapa vittime di sparizione forzata il 26 settembre 2014, quando i reparti antisommossa della polizia, noti come Unidad Rinoceronte, li hanno attaccati con gas lacrimogeni.
Ad oltre 5 anni dal massacro di Ayotzinapa, constatano amaramente familiari e compagni dei 43 studenti desaparecidos, l’unica risposta è la violenza di Stato, non la giustizia per quanto accaduto. Anche la Commissione interamericana per i diritti umani ha chiesto al governo dello stato del Chiapas, e al Messico, di fare chiarezza sugli episodi di violenza di cui si è resa responsabile la polizia contro la Caravana Sur en Busca de los 43.
Il massacro di Ayotzinapa, avvenuto nella città di Iguala (stato del Guerrero), quando narcos e polizia attaccarono gli studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos di ritorno da una colletta di autofinanziamento per poter partecipare alla marcia in ricordo della strage di Tlatelolco del 2 ottobre 1968, uccidendone sei, ferendone venti e facendone scomparire quarantatre, tuttora desaparecidos, rappresenta il braccio armato di uno Stato che, nel corso degli anni, anche nella sua variante progressista di adesso, ha indebolito la società civile messicana a colpi di riforme strutturali e di saccheggio del territorio.
Pur proclamandosi come gobierno del pueblo y del cambio, quello chiapaneco si è caratterizzato in realtà per sgomberi forzati delle comunità, per detenzioni arbitrarie e per il desplazamiento interno delle persone all'insegna del cosiddetto Programa Seguridad y Justicia 2019, presto ribattezzato, significativamente, Protocolo de desalojos. Nel solo 2019 si sono verificati 81 sgomberi, di cui la maggior parte nel municipio di Berriozábal, seguito da Venustiano Carranza, Tuxtla Gutiérrez e Tapachula.
Sfortunatamente, il Chiapas non è l'unico stato dove sono in crescita sgomberi, espropri della terra ed episodi di violenza contro le comunità indigene. Il Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas – Frayba, ha denunciato che, ad oltre un anno dalla scomparsa di Samir Flores, uno dei militanti più attivi contro la costruzione della termoelettrica nell'ambito del Proyecto Integral Morelos (Pim), nel Morelos, e in tutto il paese, la vita dei lottatori sociali per la difesa del territorio continua ad essere a rischio. Inoltre, prosegue il Frayba, è cresciuta la criminalizzazione delle comunità contrarie ai megaprogetti a cui intende dare impulso il governo centrale, a partire da quelle appartenenti al Congreso Nacional Indígena.
Raúl Vera López, vescovo di Saltillo e alla guida del Frayba, ha ricordato che le popolazioni maya, quelle maggiormente coinvolte nelle pratiche di resistenza alla devastazione ambientale e alla spoliazione dei territori promossa per venire incontro ai grandi potentati economici, proseguono comunque nelle loro attività di opposizione nel segno di un percorso di autodeterminazione per la tutela dei propri diritti. È anche per questi motivi che il governo centrale cerca di dividere le comunità, come dimostra, ad esempio, il programma Sembrando Vida, la cui promessa di aiuti economici divide le comunità al proprio interno.
Il 21 febbraio scorso, al termine di una manifestazione di oltre 7 mila indigeni dedicata primo anniversario dell'omicidio di Samir Flores, un busto scolpito in grafite e resina su una base di cemento è stata posta nello Zocalo di Città del Messico. Per il presidente messicano López Obrador, che ha vinto le elezioni promettendo di non autorizzare le grandi opere, per poi rimangiarsi la parola pochi mesi dopo, l'immagine di Samir rappresenta una sorta di monito permanente a cambiare rotta e ad ascoltare davvero le istanze delle comunità.
Purtroppo la riattivazione della carretera San Cristobál-Palenque, dettata esclusivamente da esigenze turistiche, sembra non andare in quella direzione, ma attaccare, ancora una volta, il diritto alla terra degli indigeni maya.
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