Emergenza Covid-19 in Ecuador
Solo pochi mesi fa, nello scorso ottobre, una rivolta divenuta in breve tempo di massa, era quasi riuscita a far cadere Moreno, responsabile, tra le altre cose, di aver disposto l’aumento del prezzo del combustibile. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria, di fronte alle misure economiche prese da Palacio de Carondelet, ufficialmente per far fronte al virus, si susseguono i cacerolazos delle organizzazioni sociali e dei movimenti indigeni, contrari alla trattenuta di una percentuale dei già bassi stipendi dei lavori per creare un fondo governativo volto a combattere la pandemia.
Solo a Guayaquil, si parlava nei giorni scorsi di almeno 1.800 morti e, contemporaneamente, è stato svelato il pagamento di 325 milioni di dollari di debito estero al Fondo monetario internazionale. Il Centro de Derechos Económicos y Sociales sostiene che le misure prese dal presidente Moreno non impediscono i licenziamenti dei lavoratori, non garantiscono alcuna entrata per i disoccupati e i lavoratori informali e, insieme alla Conaie - Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador, accusa Palacio de Carondelet sia di aver saccheggiato i fondi di Stato sia di non essere in grado di fermare in alcun modo la crisi sociosanitaria.
La stessa opinione è quella del Movimiento Indígena y Campesino de Cotopaxi, che denuncia il tentativo del governo di far pagare alla classe operaia una crisi sulla quale le istituzioni del paese e i loro governanti hanno precise responsabilità poiché, alla priorità della vita umana, hanno preferito privilegiare il Fondo monetario internazionale e il capitale tagliando al sistema sanitario circa il 30% delle risorse.
“L’Ecuador è arrivato ad un punto di non ritorno”, ha scritto allarmato l’ex cancelliere ed intellettuale Kintto Lucas, aggiungendo che Moreno gode di una popolarità inferiore al 6% della popolazione ma, a livello politico, hanno destato scalpore le dichiarazioni rilasciate dall’ex presidente Correa alla giornalista di Semana Noticias Vicky Dávila. Correa si dichiara disposto a tutto, pure ad appoggiare uno dei leader della destra Jaime Nebot, pur di cacciare dal Moreno dal palazzo presidenziale. Se è vero che Moreno si è rivelato palesemente inadeguato, di fronte al virus, ma assai scaltro nel passare subito dalla parte dell’oligarchia, preoccupandosi di tutelarla anche in un contesto come quello attuale, difficilmente Nebot si occuperebbe di difendere i diritti dei lavoratori.
Lo scorso 12 aprile il ministro Richard Martínez Alvarado ha annunciato una serie di misure economiche a vantaggio dei gruppi imprenditoriali del paese, dalla precarizzazione del lavoro al differimento del pagamento del salario a tempo indefinito, ma senza alcun accenno a reali prese di posizione sulla difesa dell’occupazione per molte categorie di lavoratori. La Conaie, i sindacati, i movimenti femministi e le organizzazioni sociali hanno chiamato l’intera popolazione a difendere le conquiste storiche della classe lavoratrice dell’Ecuador, rinnovando, una volta di più, la richiesta al governo di adempiere alle richieste più urgenti già sollecitate durante il levantamiento dello scorso mese di autunno, dalle misure per sostenere l’agroecologia di fronte alla minaccia dell’agronegozio alla moratoria del debito estero al sostegno economico, con ciò che avrebbe dovuto essere risparmiato, per le famiglie più povere, fino alla tassazione delle famiglie più ricche dell’Ecuador.
In tutto il paese, secondo le stime risalenti a pochi giorni fa, erano circa 7.600 i casi di Covid-19 e 314 i morti, ma le cifre non tornano con lo scenario di Guayaquil, la città maggiormente travolta dalla pandemia, con un sistema sanitario non in grado di far fronte alla crescente ondata del virus. Guerra mediatica e fake news sono gli strumenti maggiormente utilizzati dal governo per nascondere la grave emergenza sanitaria che vive il paese.
Lenín Moreno, il vice presidente Otto Sonnenholzner e María Paula Romo, ministra de Gobierno, sono i principali responsabili di aver barattato l’indebolimento del sistema sanitario con una aggressiva politica neoliberista e, a farne le spese, è gran parte della popolazione ecuadoregna.
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