Chaco argentino: la pandemia accresce il razzismo contro gli indigeni
L’episodio è avvenuto lo scorso 31 maggio. Tra le minacce, quella di gettare benzina addosso ai giovani per dar loro fuoco. La denuncia, proveniente dalla Mesa Multisectorial Feminista e dalla Asamblea Permanente por los Derechos Humanos del Chaco, ha scatenato un’ondata di indignazione. La ministra de Seguridad de la Nación, Sabina Frederic, ha chiesto immediatamente informazioni al Ministero della Giustizia provinciale su quanto accaduto e la sua titolare, Gloria Salazar, ha garantito che il governatore del Chaco, Jorge Capitanich, ha ordinato che gli agenti responsabili dell’aggressione e delle violenze fossero sospesi dal servizio e messi sotto processo. Sdegno anche da parte del presidente argentino Alberto Fernández.
L’Instituto Nacional de Asuntos Indígenas, riunitosi con il governatore Jorge Capitanich, ha sottolineato che alla radice della violenta aggressione poliziesca, condotta da agenti vestiti con abiti civili, stanno razzismo e pandemia. Rebeca Garay, una delle giovani arrestate e torturate, ha raccontato inoltre di essere stata violentata e ha denunciato l’irruzione degli agenti caratterizzata dall’utilizzo di fucili e pallottole di gomma, come testimoniato anche dalla madre Elsa Fernández, preoccupata per il fatto che i poliziotti sono stati si sospesi dal servizio, ma si trovano ai domiciliari nelle loro residenze.
Il Chaco è una delle zone dell’Argentina dove maggiore è la diffusione del Covid-19, nonostante l’adozione dei protocolli di sicurezza da parte del governo provinciale. Il gruppo di sei quartieri alla periferia della città di Resistencia, denominato Gran Toba, dove è avvenuta l’aggressione, è abitato da circa 4.500 persone appartenenti in gran parte alla comunità Qom: è qui che il corona virus ha colpito più duramente, contagiando circa 150 persone e uccidendone inizialmente 13 per poi crescere di numero. Gli indigeni Qom sono stati presto ritenuti tra i principali propagatori del virus poiché nei loro quartieri la situazione era già molto precaria prima della diffusione del Covid-19 ed altrettanto difficile risulta essere l’accesso al sistema sanitario.
Il corona virus ha finito per accrescere le disuguaglianze storiche degli indigeni qom, trattati come cittadini di seconda categoria ed incolpati di non rispettare le norme indicate per far fronte alla diffusione del Covid-19. In un’intervista rilasciata a Le monde diplomatique, l’antropologa Florencia Tola ha ricordato che “per un qom è difficile pensare individualmente perché i popoli originari si sentono parte di un’unica famiglia”. Contemporaneamente, su whatsapp hanno iniziato a circolare messaggi che segnalavano l’uscita degli indigeni qom dalla Gran Toba, uno dei motivi scatenanti, nell’immediato, della violenta aggressione poliziesca ai danni di una famiglia. Più volte, approfittando del clima di caccia alle streghe, la polizia si è rivolta agli appartenenti dell’etnia Qom definendoli “indios de mierda” e la propagazione del Covid-19 ha accresciuto la discriminazione verso di loro.
La violenza istituzionale, perché in altro modo non si possono chiamare gli abusi polizieschi, è stata stigmatizzata, tra gli altri, da Horacio Pietragalla, incaricato dal governo argentino di occuparsi della tutela dei diritti umani in Argentina. L’Instituto Nacional de Asuntos Indígenas ha chiesto l’arresto dei poliziotti responsabili dell’aggressione, così come Daniel Rolón, portavoce della comunità qom, che ha espresso preoccupazione sia per la lieve pena comminata agli agenti, solo ai domiciliari, sia per la grande solidarietà nei loro confronti. In molti, infatti, per terrorizzare i qom, sostengono che quando gli agenti saranno liberi e non più ai domiciliari gliela faranno pagare.
In tutto il paese, la diffusione della pandemia ha accresciuto il razzismo nei confronti dei popoli indigeni e i Qom sono tra i primi a farne quotidianamente le spese, ora più di prima.
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