Latina

Nel referendum costituzionale di ieri, 17 dicembre

Cile: vittoria dimezzata della destra

Il 55,8% degli elettori ha respinto la modifica della Costituzione proposta dall’estrema destra, ma a rimanere in vigore è comunque il testo pinochettista.
18 dicembre 2023
David Lifodi

Cile: vittoria dimezzata della destra

Al termine del referendum costituzionale che si è tenuto ieri, 17 dicembre, in Cile, la sola certezza è che a vincere è stata la destra. Per fortuna, il 55,8% degli elettori ha respinto l’ulteriore modifica, ulteriormente peggiorativa, proposta dal Partido Republicano di José Antonio Kast, di estrema destra, ma a rimanere in vigore è comunque la Costituzione pinochettista. Poco da festeggiare, quindi.

Solo in tre comunas della regione metropolitana di Santiago la maggioranza è andata all’opzione di modifica proposta dall’estrema destra, ma il risultato delle urne si presta a molteplici interpretazioni. Di certo l’elettorato ha rifiutato ampiamente la cosiddetta “Kastitución” che avrebbe messo a repentaglio i diritti civili, sociali e politici conquistati a seguito di decenni di lotte, un risultato non da poco soprattutto a seguito della recente affermazione di Javier Milei in Argentina, ma è anche vero che erano state proprio le urne a concedere una grande possibilità alle forze più reazionarie del paese per dare un’ulteriore spallata verso il baratro ad uno dei paesi più diseguali del continente latinoamericano.

Kast, che credeva nella modifica della Costituzione per mettere in ulteriore difficoltà la presidenza di Gabriel Boric, ha parlato di una “giornata triste per la nostra storia”, ma ha riconosciuto la sconfitta e non era scontato per un politico noto per essersi apertamente dichiarato come ammiratore del regime militare. Già mesi fa era sembrato molto chiaro che questo referendum avrebbe finito per trascinare il Cile in un vicolo cieco: è stata durissima, per la parte democratica del paese, imbarcarsi in un percorso che, di fatto, avrebbe finito per sostenere la Costituzione di Pinochet, deceduto godendo della più completa impunità e che, ancora oggi, finisce per essere il deus ex machina di un paese da lui stesso condotto al collasso politico ed economico. La Costituzione del 1980, infatti, non porta la firma del dittatore, ma quella del socialista Ricardo Lagos, solo perché nel 2005 fu l’allora presidente del paese a realizzare una serie di riforme che peraltro non andavano a metterne in discussione l’impalcatura capitalista.

Nel corso della campagna referendaria il paese è stato percorso, più volte, dalla fatidica domanda ¿Por qué hay que votar “En Contra”? Se la risposta era scontata, sbarrare la strada ad un testo proposto dalla maggioranza del Partido Republicano, il rammarico era rivolto verso l’esito fallimentare del settembre 2022, quando la modifica della Costituzione, davvero ad un passo, avrebbe intrapreso un percorso progressista se il 62% degli elettori non lo avesse respinto.

Il Partido Republicano, formazione politica accreditatasi in seno all’ultradestra, più che modificare la Costituzione, privatizzando tutto il paese, perfino i ghiacciai, aveva come scopo principale quello di far breccia nell’elettorato, anche a scapito delle forze conservatrici tradizionali, seguendo il percorso già tracciato da Milei in occasione delle Paso (le primarie aperte, simultanee e obbligatorie) dello scorso agosto in Argentina.

Nonostante la sconfitta al referendum, il partito è comunque riuscito a conseguire il suo obiettivo strategico, quello di rappresentare la nuova destra in Cile in un paese dove è ancora il pinochettismo a dettare le regole del gioco, nonostante il timido e in alcune occasioni contraddittorio governo della presidenza Boric e, in precedenza, l’alternanza tra Concertación e partiti conservatori, in collaborazione con un’economia neoliberista, basti pensare ad una discutibile dichiarazione di Piñera, ex inquilino della Moneda: “La educación es un bien de consumo”.

Lo stato sociale e lo stato di diritto, già messi all’angolo nel Cile attuale, sarebbero stati definitivamente cancellati se la Costituzione fosse stata spostata ancora più a destra, in un paese dove i grandi gruppi economici fanno il bello e il cattivo tempo e se a prevalere fosse stato un testo che, di fatto, metteva una minoranza, quella più agiata del Cile, nelle condizioni di schiacciare una maggioranza spesso esclusa.

Gli elettori hanno rimandato al mittente una Carta costituzionale che, a livello ambientale, sarebbe stata adattata agli interessi delle imprese del settore forestale, dell’estrattivismo minerario, dei signori dell’agrobusiness e delle multinazionali dell’energia, oltre svendere, una volta di più, le risorse naturali del paese e privatizzare l’accesso al servizio idrico. E ancora, in caso di vittoria del progetto di Kast e soci, i popoli indigeni sarebbero stati del tutto invisibilizados: ad esempio in quella che sarebbe stata la nuova Costituzione i mapuche, già adesso discriminati e criminalizzati sotto ogni aspetto, non erano nemmeno nominati, a scapito dei simboli classici della cosiddetta chilenidad in chiave latifondista.

Gli stessi diritti delle donne, in particolare quello all’aborto, in caso di successo della destra, avrebbero avuto vita durissima, così come il diritto all’istruzione avrebbe finito per prendere la strada della privatizzazione. Si, la sconfitta della “Kastitución” rappresenta un fatto positivo, ma non si può far a meno di pensare che il testo fondamentale del paese è comunque emanazione di uno dei peggiori regimi del continente latinoamericano.

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