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Sono già 25 i corpi recuperati dopo il naufragio. E il sindaco intitola una strada alle vittime senza nome.

Modica, la strage dimenticata. Non erano latitanti, erano morti.

30 novembre 2005
Giovanni Maria Bellu

Sono passati più di dieci giorni eppure continuano ad arrivare. A volte si nascondono tra gli scogli, a volte si sdraiano sulla battigia. I più audaci si spingono fino al mare su cui s'affaccia Piazza Mediterraneo, il salotto all'aperto dell'estate modicana. Qualcuno, dotato di un certo senso dell'ironia, ha deciso addirittura di farsi trovare davanti a uno stabilimento balneare dal nome evocativo: "Le Iene".

A oggi sono venticinque, ma solo i primi nove hanno avuto l'onore dei titoli di testa e delle copertine. Gli altri sedici hanno ottenuto al massimo qualche articolo nelle cronache provinciali e regionali siciliane. Strano. Non era una gara di corsa: l'ordine d'arrivo non avrebbe dovuto avere alcuna importanza. Ancora più strano se si considera che i primi nove arrivati non hanno fatto niente di più degli ultimi sedici. E, d'altra parte, i nove e i sedici, cioè i venticinque tutti assieme, non hanno fatto nulla di più di tanti altri prima di loro: dai dieci ai ventimila, se si comincia a contare dalla metà degli anni Novanta.

Sono tutti morti. Allo stesso modo - annegati nel Mediterraneo mentre tentavano di raggiungere le coste dell'Europa - nello stesso giorno, lo scorso 18 novembre, quasi certamente negli stessi istanti.

E' la parte nota della storia, quella che è andata in prima pagina. Mare forza sei-sette, un barcone arenato sulla spiaggia di Sampieri, 177 persone (qualificate come "clandestini" sulla base di una convenzione linguistica che ignora la Convenzione di Ginevra del 1951, e cioè l'eventualità che potesse trattarsi di rifugiati politici) affamate e intirizzite. Tra loro sette minorenni e tre donne. Tutti gli altri, uomini per la quasi totalità giovani. E poi i soliti fantasmi, gli annegati.

Quanti? Addirittura ottanta, secondo la primissima stima, determinante nel risvegliare la sensibilità statistica del mondo dell'informazione: si sarebbe trattato di una vera e spaventosa ecatombe. Poi, nei più prudenti calcoli successivi, una ventina. Quindi, nemmeno uno. Si diffuse, infatti, l'ipotesi che i passeggeri mancanti fossero riusciti a raggiungere la spiaggia per poi disperdersi nelle campagne del ragusano, prima di raggiungere qualche stazione ferroviaria siciliana, quindi la penisola italiana, l'Europa, l'Occidente.

La storia nota finisce qua. Con quel dubbio sul numero dei morti, con l'ammessa eventualità che i dispersi fossero effettivamente tali. Cioè non morti, come dopo un qualunque tsunami, ma vivi e vegeti. Nuovamente "clandestini". Più che dispersi, insomma, latitanti. Non era così.

I fantasmi, come nella più classica delle storie dell'orrore, hanno cominciato a manifestarsi appena le luci si sono spente. Prima cinque tutti assieme, poi tre, quindi uno e poi altri tre. L'ultimo tre giorni fa, sulle spiagge di Santa Maria del Focallo, tra Ispica e Pozzallo, proprio davanti al Lungomare Kennedy.

Così, sommando i primi nove ai sedici ritardatari, il naufragio di Sempieri ha raggiunto la zona alta della classifica delle tragedie del Mediterraneo (e non è nemmeno escluso che guadagni qualche altro posto, con l'aiuto del vento). Ma è successo tutto troppo tardi, soprattutto senza alcun riguardo per i principi della "notiziabilità".

Sarebbe finita qua se non si fosse verificato un fatto sorprendente. Eversivo, forse. Il sindaco di Modica, come i suoi concittadini inorridito dallo stillicidio di cadaveri, ha deciso di intitolare una strada alle vittime anonime della tragedia del 18 novembre 2005. Poi, un gruppo di modicani ha affisso sui muri un manifesto in cui si chiede "perdono per tutte le vittime sprofondate nel nostro colpevole mare d'indifferenza". Come se non bastasse, per domani, i sindacati hanno deciso di convocare una cerimonia funebre laica, una specie di corteo di suffragio, al quale - è facile prevederlo - prenderanno parte italiani e immigrati. Un corteo meticcio, come direbbe il nostro presidente del Senato, che sostituirà con delle povere fiaccole i riflettori della tv.

Note: (L'autore ringrazia il collega Giorgio Caruso del 'Giornale di Sicilia")

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