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Il laboratorio libanese

Il gesuita libanese Samir Khalil Samir, docente all'università di Beirut, a Genova per un'iniziativa contro gli integralismi organizzato dalla rivista Marea
29 maggio 2006
Pietro Orsatti

Si è concluso ieri a Genova l'incontro internazionale "Libertà delle donne è civiltà", organizzato dalla rivisita Marea anche in coincidenza con il decennale della fondazione della rivista e a cinque anni dall'iniziativa Punto G organizzato dal movimento femminista nell'ambito degli appuntamenti contro il G8 nel 2001. Due giorni di dibattito che hanno visto come protagoniste studiose, femministe, uomini e donne impegnati nella lotta contro gli integralismi e per l'affermazione di una cultura politica di laicità. Donne e uomini provenienti dall'Iran, dall'Algeria, da Israele, la Serbia, l'India, il Libano e da molte realtà e comunità Europee.
A lato dell'iniziativa abbiamo incontrato Samir Khalil Samir, gesuita e docente all'Università di Beirut, che ha partecipato alla tavola rotonda "Comunicare la laicità" che ha concluso la due giorni di lavori, per parlare dell'attuale situazione politica e sociale del suo paese e per affrontare, inevitabilmente, anche quello che sta avvenendo oggi in Palestina.
Samir Khalil Samir, gesuita e docente all'Università di Beirut


"Il Libano è un laboratorio – afferma Samir – in primo luogo perché è piccolo, 3 milioni e mezzo di abitanti, geograficamente quattro volte più piccolo della Svizzera. Qui tutto è inevitabilmente intenso e si trasforma in personale. Qualsiasi cosa succeda alla 10 di mattina in un posto sperduto del paese alle 10 e 30 tutto il Libano lo sa. Tutti si conoscono, conoscono le famiglie, le origini, le storie di ciascuno. E nel frattempo in Libano ci sono molte popolazioni diverse che nel corso dei secoli sono arrivate a vivere qui: perché il Libano ha una storia particolare, unica. Nel corso dei secoli è stato un paese di accoglienza e di rifugio, tutti i gruppi o gruppuscoli perseguitati nella regione, cominciando dai gruppi mussulmani come i drusi e gli sciiti fino ad arrivare ai gruppi cristiani come gli armeni e anche i maroniti che formano oggi l'entità più compatta del Libano moderno. In gran parte questi gruppi sono arrivati dalla Siria, perseguitati dall'impero bizantino ancora prima di esserlo dall'impero ottomano. Ed è forse per questa storia di migrazione in cerca di rifugio che ogni gruppo rivendica con forza la propria libertà. Oggi il Libano è un paese pronto a morire per la libertà e l'indipendenza. Tutti lo hanno dimostrato, anche nell'estremismo a volte, perché quello della libertà è il valore, forse l'unico valore, che li unisce all'interno di questo paese"

Eppure la storia recente del Libano è fatta di lotte fratricide, di guerre, di fazioni etniche e religiose che si schieravano, eventualmente, con uno degli occupanti per contrastare una delle altre fazioni libanesi.

Certo, ma assistiamo anche nel corso degli anni all'affermarsi di un percorso di unione e per la creazione di uno stato laico e democratico. La storia del Libano, la sua società, la presenza di ben 18 componenti riconosciute dallo stato, impone un dialogo. E' un paese necessariamente costruito sul dialogo: non è un paese mussulmano eppure è un paese arabo; non è un paese cristiano eppure quasi sempre il presidente è un cristiano cattolico. E' un paese che combina e valorizza queste contraddizioni apparenti, perché ha creato un equilibrio. Il Libano è costruito su due grandi tradizioni religiose, la mussulmana e la cristiana, con tutte le sottotradizioni possibili - drusa, sunnita, sciita o cattolica e ortodossa eccetera-. Il pluralismo, il multiculturalismo, fanno parte dell'essere, della natura del Libano. E per evitare che la politica si trasformi in conflitti, in guerre, si è deciso, all'interno dell'attuale sistema istituzionale, di dare rappresentanza paritaria a mussulmani e cristiani nelle assemblee elettive e in particolare nel parlamento. Questo garantisce anche che ogni cittadino libanese si senta tale prima di tutto, che si senti appunto cittadino nel suo paese, e che solo dopo emerga la sua identità religiosa. Questo equilibrio sta avendo ricadute positive anche nella vita personale, nelle relazioni fra persone e comunità. Per fare un esempio, e lo affermo per mia esperienza diretta, ho potuto constatare come nel mio paese ci sia una tendenza sempre più diffusa di matrimoni misti fra cristiani e mussulmani, cosa praticamente impossibile altrove.

E le comunità, confessionali e sociali intendo, come percepiscono questi matrimoni?
Le comunità li accettano, certo all'inizio con un po' di difficoltà, ma dopo un po' di tempo queste unioni vengono considerate come normali, positive.
Questo è uno dei tanti elementi simbolici del modello che offre il Libano al mondo arabo. C'è una definizione data da papa Giovanni Paolo II quando venne in Libano e che io ritengo fondamentale: "il Libano è più di un paese, è una missione". Il Libano significa qualcosa per tutto il mondo, prima di tutto che la convivialità è possibile.

Anni di guerra, totale incomunicabilità fra le varie componenti, sembrano smentirla.

Certo c'è stata la guerra, ma questa in qualche modo è stata superata. Credo che sia stata provocata soprattutto dalle ingerenze e dall'intervento di tanti fattori esterni al Libano. La Siria, Israele, gli Stati uniti, i russi: sarebbe veramente lungo e complicato analizzare tutto quello che è successo. Un dato certo però è che la guerra sia finita nel '90.
Mi ricordo che quel giorno io ero a Beirut, e ricordo i carri armati siriani all'interno del nostro collegio e dovetti andare io a trattare con loro perché rimanessero a cinquanta metri della casa, che non si avvicinassero troppo. Eppure, nonostante i carri armati e la guerra e le violenze e le divisione che avevano ferito ogni famiglia e ogni comunità, l'indomani di quel giorno di ottobre vedevamo autobus carichi di ragazzi sciiti venire a visitare la parte cristiana e viceversa ragazzi cristiani andare nei quartieri sciiti. C'era il desiderio di conoscere l'altro, di riconoscerlo. Era il desiderio evidente di costruire un paese insieme.

Un desiderio condizionato, se non ostacolato, dalla Siria che di fatto fino allo scorso anno ha occupato militarmente il Libano.

Si, è stato un grosso problema. La Siria non ha mai riconosciuto il Libano. Mai. Dal '43, dal momento in cui è stata decisa la creazione di due stati, Siria e Libano, i siriani hanno considerato questa solo un'operazione colonialista della Francia, e non ha mai riconosciuto lo stato vicino. Perciò fino ad oggi non c'è nemmeno uno scambio di ambasciatori fra i due paesi. I siriani dicono: non si manda un ambasciatore nel proprio paese. Il paradosso è che il Libano è economicamente e culturalmente superiore alla Siria, che invece lo sovrasta militarmente e demograficamente. Non è un caso che ci siano in Libano un milione di lavoratori siriani mentre nessun libanese vada a Damasco a lavorare.
L'indipendenza reale è stata un processo lungo e difficile, impari, che è stato pagato con il sangue.
Oggi la Siria si è ritirata ma ha lasciato la sua gente, le spie, che continuano a tentare di condizionare il paese.

E in questo quadro si inserisce la questione Hezbollah e le milizie nel sud del paese e la continua tensione creata dalla mancata soluzione sulla questione palestinese.

Hezbollah è un partito essenzialmente sciita protetto dall'Iran e che per finanziarlo e alimentarlo passa attraverso la Siria. E' evidente che ci sia un accordo fra queste tre componenti. Hezbollah vuole mantenersi come il partito militarizzato che difende la nazione libanese. Questo però è anomalo: chi difende la nazione è solo l'esercito e non la milizia di un partito, perché l'esercito è costituto da tutto l'insieme delle componenti che costituiscono il Libano. Hezbollah, anche grazie alle pressioni della Siria, ha enormi difficoltà ad accettare questo passaggio e contemporaneamente Onu Stati Uniti e Europa vogliono il disarmo del partito e l'interruzione delle ingrenze siriani. Questa situazione di fatto paralizza la politica del paese, anche perché tutte queste divisioni si trasferiscono dentro il parlamento. Noi speriamo che la Siria capisca la necessità ritirarsi definitivamente e non provvisoriamente, rinunciando ad essere il punto di unione fra Iran e Hezbollah e che riconosca l'indipendenza assoluta del Libano.
Questo il Libano non lo può fare da solo. Senza l'aiuto internazionale è come Davide e Golia, e il Libano non ha nessuna fionda da usare. Quindi l'unica possibilità è l'appoggio internazionale, non contro qualcuno, ma per garantire la giustizia e l'indipendenza attraverso un quadro certo di diritto. La stessa cosa dovrebbe essere fatta anche fra Palestina e Israele. In questo caso bisognerebbe arrivare ad una soluzione del tipo: riconosciamo questi due stati esattamente come sono stati definiti dall'Onu e non come ciascuna parte desidera, e pretende, che sia. Finché non ci si affiderà totalmente al diritto internazionale non si arriverà mai alla pace. Possono imporre una tregua, ma dopo cinquant'anni sarà di nuovo guerra. Solo nel riconoscimento dell'indipendenza di ogni stato, all'interno di confini stabiliti dalla comunità internazionale una volta per tutte, che siano tra il Libano e la Siria, tra il Libano e Israele, tra la Palestina e Israele, si potrà arrivare alla pace

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