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Occupazione dell'Iraq

Chi bombarda non vende

Anche se condotta in modo trasparente, la privatizzazione dell'Iraq sarebbe illegale.

17 dicembre 2003
Naomi Klein
Fonte: articolo tratto su Internazionale
http://lists.peacelink.it/pace/msg06754.html

Cancellare i contratti. Mandare a monte gli accordi. Queste sono alcune
ipotesi di slogan che potrebbero unire il movimento che si oppone
all'occupazione dell'Iraq.

Finora i dibattiti si sono concentrati sul tipo di richieste da fare: il
ritiro completo delle truppe o la cessione del potere alle Nazioni Unite.
Ma il dibattito sul "via le truppe" trascura un dato importante.

Se domani venisse ritirato dal Golfo anche l'ultimo soldato e andasse al
potere un governo sovrano, l'Iraq sarebbe ancora occupato: dalle leggi
scritte nell'interesse di un altro paese, dalle aziende straniere che ne
controllano i servizi essenziali, dalla disoccupazione al 70 per cento
causata dai licenziamenti nel settore pubblico.

Ogni serio movimento per l'autodeterminazione irachena deve invocare la
fine non solo dell'occupazione militare dell'Iraq, ma anche della sua
colonizzazione economica. Questo significa annullare le riforme modello
"terapia d'urto" che il responsabile dell'occupazione statunitense Paul
Bremer ha spacciato per "ricostruzione" e cancellare i contratti di
privatizzazione seguiti a queste riforme.

Come? Facile: dimostrando che sono illegali. Violano la convenzione
internazionale che regola il comportamento delle forze occupanti, i
Regolamenti dell'Aja del 1907 (che, come le Convenzioni di Ginevra del
1949, sono stati ratificati dagli Stati Uniti) e il codice di guerra dello
stesso esercito americano. I Regolamenti dell'Aja stabiliscono che una
potenza occupante deve rispettare, "salvo il caso in cui sia assolutamente
impedita, le leggi in vigore nel paese".

Il governo provvisorio della coalizione ha fatto a pezzi questa semplice
regola con allegra noncuranza. La costituzione dell'Iraq vieta la
privatizzazione dei beni fondamentali dello stato e proibisce la proprietà
straniera di aziende irachene.

Il 19 settembre Bremer ha emanato un decreto, il famigerato Order 39. Ha
stabilito che 200 imprese pubbliche irachene sarebbero state privatizzate;
che le società straniere possono detenere il 100 per cento di banche,
miniere e fabbriche irachene; e che queste aziende possono trasferire il
100 per cento dei loro utili fuori dall'Iraq.

L'Economist lo ha definito "il sogno di un capitalista". Il decreto vìola i
Regolamenti dell'Aja anche dove dicono che una potenza occupante "sarà
considerata solo amministratrice e usufruttuaria degli edifici pubblici,
del patrimonio immobiliare, delle foreste e dei fondi agricoli (…) situati
nel paese occupato. Deve salvaguardare il capitale di queste proprietà e
amministrarle secondo le regole dell'usufrutto".

L'usufrutto è un contratto che garantisce a una parte il diritto di trarre
beneficio da un bene altrui "senza alterarne la sostanza". Ma è proprio ciò
che sta facendo Bremer: cosa altera di più "la sostanza" di un bene
pubblico del trasformarlo in un bene privato? Questo punto è piuttosto
semplice, ed è presente anche nei codici militari statunitensi: bombardare
qualcosa non ti dà il diritto di venderlo.

Non solo: Bremer lo sa benissimo. In una nota scritta il 26 marzo e
trapelata sulla stampa, il procuratore generale britannico Lord Peter
Goldsmith avvertiva il suo premier Tony Blair che "l'imposizione di
importanti riforme economiche strutturali non sarebbe autorizzato dal
diritto internazionale".

Finora gran parte della polemica sulla ricostruzione dell'Iraq si è
concentrata sugli abusi e la corruzione nella stipula dei contratti. Non è
questo il punto: anche se le cessioni fossero condotte con la massima
trasparenza, continuerebbero a essere illegali per il semplice motivo che
non spetta all'America vendere il paese.

Liberi mercati e liberi cittadini
Il fatto che il Consiglio di sicurezza abbia riconosciuto l'autorità
dell'occupazione di Stati Uniti e Gran Bretagna non fornisce alcuna
copertura legale. La risoluzione approvata dall'Onu a maggio chiedeva agli
occupanti di "rispettare i loro obblighi in base al diritto internazionale,
in particolare le Convenzioni di Ginevra del 1949 e i Regolamenti dell'Aja
del 1907".

Secondo molti giuristi questo significa che se il prossimo governo iracheno
non vorrà che il paese sia in mano a multinazionali come Betchel e
Halliburton, avrà consistenti basi giuridiche per rinazionalizzare i beni
privatizzati.

L'unica via d'uscita per l'amministrazione è far sì che il prossimo governo
iracheno sia tutto meno che sovrano. Dovrà essere influenzabile al punto da
ratificare queste leggi illegali, che saranno allora celebrate come il
felice matrimonio dei liberi mercati con i liberi cittadini. Fatto questo,
sarà tardi: i contratti saranno al sicuro e l'occupazione dell'Iraq
permanente.

Ecco perché le forze contrarie alla guerra devono usare questa finestra
temporale, che si sta richiudendo, per chiedere che il prossimo governo
iracheno sia libero dalle catene di queste riforme. E' troppo tardi per
fermare la guerra, ma non per impedire agli invasori dell'Iraq di
raccogliere i sostanziosi frutti economici per cui l'hanno voluta. E non è
troppo tardi per cancellare i contratti e mandare a monte gli accordi.

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