Tortura in Israele
La diffusione del rapporto non sarebbe stata possibile se non fossero stati i prigionieri palestinesi vittime dell’Isa (Agenzia israeliana per la sicurezza) e dell’Ips (il Servizio penitenziari israeliano) a denunciare questa sorta di inferno sulla terra. Le testimonianze dei 116 detenuti intervistati, imprigionati dai 3 ai 58 giorni nel centro di Shikma, nei dintorni della città di Ashkelon, sono servite per far conoscere al mondo cosa accade nelle carceri israeliane. B’Tselem, il centro informazioni israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati e HaMoked, centro per la difesa dell’individuo impegnato a far rispettare le norme sancite dal diritto internazionale e dalla Dichiarazione universale delle Nazioni unite, per poter pubblicare il rapporto hanno dovuto fare i conti con l’ira di Israele. A fronte della missiva inviate dalle due organizzazioni umanitarie al Ministero della giustizia israeliano, in cui era illustrato il progetto di relazione delle associazioni umanitarie, questa è stata la risposta ricevuta, pubblicata integralmente in fondo al libro: “Sembra che il rapporto sia stato scritto in maniera tendenziosa… per rappresentare in modo distorto l’attuale realtà dei trattamenti nel centro di detenzione…”. Inoltre, lo stesso Ministero, sottolineava che, prima della pubblicazione del rapporto, sarebbe stato meglio aspettare la risposta dello Stato e le sue osservazioni, facendo balenare l’idea che, forse, un’opera di censura preventiva sul testo sarebbe stata opportuna.
Gran parte dei detenuti ha riferito che durante gli interrogatori sono stati utilizzati dolorosi mezzi di coercizione e, per quanto riguarda l’eventualità di attendere i rilievi dello Stato israeliano, nel settembre 2012 HaMoked scrisse ai comandanti del carcere di Shikma descrivendo le dure condizioni dell’ala degli interrogatori senza mai ricevere alcuna risposta. In particolare, ciò che ha lasciato fortemente perplessi è stata la scelta dell’Isa di ignorare quanto stabilito dalla Corte israeliana, che riteneva legittima l’immobilizzazione di un prigioniero soltanto al fine di proteggere l’inquirente, ma senza creare dolore e rappresentare un’inutile umiliazione. L’Isa, invece, non solo ha eluso le raccomandazioni della Corte, applicando l’incatenamento dei detenuti in una posizione tale da provocare loro dolore, ma ha utilizzato anche mezzi quali la privazione del sonno, proibita dall’Alta Corte di Giustizia israeliana escluse circostanze eccezionali. Celle sporche, pessime condizioni igienico-sanitarie (alcuni detenuti sono stati autorizzati a lavarsi sei giorni dopo l’arresto), scarse possibilità di parlare con un avvocato, il cibo scadente e l’inadeguatezza delle cure mediche sono state confermate dalla totalità dei detenuti intervistati.
Tuttavia, Tortura in Israele non vuol essere un atto d’accusa a prescindere contro le istituzioni di questo paese, come ha cercato invece di far passare il libro il Ministero di Giustizia, ma intende esortare lo Stato d’Israele e la stessa Anp (l’Autorità nazionale palestinese) affinché tutti i detenuti abbiano riconosciuti e garantiti i loro diritti. In particolare B’Tselem e HaMoked hanno dedicato un capitolo del volumetto al ricorso dell’Anp alla tortura sui prigionieri prima di consegnarli ad Israele per gli interrogatori. Anche in questo caso, è emerso un quadro sconvolgente, caratterizzato dalla cooperazione in materia di sicurezza tra autorità israeliane e palestinesi. Gran parte dei detenuti dall’Anp non solo ha denunciato le torture subite, ma ha concordato sul fatto che gli inquirenti israeliani erano a conoscenza delle angherie subite dai prigionieri nelle carceri dell’Anp e intendevano mostrare ancora maggior ferocia dei loro colleghi palestinesi. L’utilizzo della tortura da parte del Pps, il Servizio di sicurezza preventiva dell’Anp, “è stato documentato dalle organizzazioni palestinesi e internazionali per i diritti umani”. A questo proposito, è significativa la testimonianza di un detenuto dell’Anp: “Sono stato trattenuto 40 giorni e interrogato di continuo. Poi mi hanno messo in quello che noi chiamiamo <<frigorifero>> - una stanzetta larga circa 90 centimetri e lunga due metri. Ti sistemano lì a piedi nudi e con indumenti leggerissimi, mantenendo una costante corrente di aria fredda. Sembra proprio di essere in un frigorifero. Si sta lì unicamente con una bottiglia d’acqua. Non c’è bagno. Se uno deve andarci picchia su una porta e chiede all’infinito finché non ne lasciano uscire uno. Io ci sono rimasto tre giorni”.
In definitiva, lo scopo di B’Tselem e HaMoked è quello di denunciare il sistema carcerario di Isa e Anp affinché in Israele, Palestina e in tutto il Medio Oriente prevalgano quei diritti umani finora così calpestati. In caso contrario, se non ci sarà giustizia, difficilmente sarà raggiunta la pace.
Tortura in Israele
a cura delle associazioni B’Tselem e HaMoked
Zambon Editore, 2017
Pagg. 115
€ 12
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