Il ricorso alla tortura è segno della nostra falsa civiltà
Ma cosa ci sta accadendo? Pensavamo di essere arrivati ad acquisire un alto grado di civiltà e invece dobbiamo ammettere di star regredendo. Siamo tornati al periodo delle torture, delle violenze fisiche per ottenere le informazioni che vogliamo dai prigionieri.
Oggi abbiamo sotto gli occhi le immagini dei prigionieri iracheni, ma ieri c’erano quelle dei prigionieri della base di Guantanamo, e prima ancora, quelle dei prigionieri cinesi, kurdi, ecc. Se ci fermiamo a pensare, una lunga catena di esseri torturati si dipana dinanzi ai nostri occhi, a segnare i passi della nostra storia, ed ogni passo rivela una sofferenza.
Come è possibile che il nostro cuore sia diventato così insensibile da tollerare di essere causa di sofferenze per un'altra persona, fino ad arrivare a compiacersi nel guardar soffrire gli altri? Sono gli avvenimenti, si risponde, a costringere ad usare le maniere forti. Quando il nemico non vuole cedere, bisogna ricorrere a qualunque mezzo per farlo capitolare.
Così ci troviamo a parlare di guerra, tortura, capitolazione, rappresaglia, ad usare parole che nulla hanno in comune con la nostra tanto decantata civiltà. Vogliamo edificare il nostro futuro usando strumenti di distruzione e ci vantiamo pure di star facendo l’unica cosa giusta.
La colpa è del nemico che si rifiuta di capire le nostre ragioni, mentre noi abbiamo sempre cercato di dialogare. Visto che si usano contro di noi mezzi violenti, siamo costretti a rispondere con le stesse armi. Questa è la vera globalizzazione che stiamo costruendo: tornare al vecchio “occhio per occhio e dente per dente”.
Possibile che non riusciamo a vedere altre vie d’uscita dalla morsa della violenza? E’ necessario rispondere sempre male per male? Se provassimo con altre risposte, con mezzi che tengano fuori la violenza? Esistono tecniche di risposta nonviolenta che attendono di essere applicate. Perché non provarci? Se non lo facciamo come possiamo dire che non funzionano? Eppure preferiamo rinunciare al buon senso e lasciar spazio solo a ciò che è istintivo.
Articoli correlati
- Esperienze di educazione alla pace
Scuola. Il viaggio senza fine
A scuola è necessario imparare a riconoscere e gestire anche la parte emotiva dell’apprendimento: stati d'animo, insicurezza, esigenza di supporto da parte dell'adulto, sofferenza psichica, disagio emotivo.9 gennaio 2021 - Laura Tussi - Ricorda Calamandrei: basta guerre, distruzioni, viviamo in altri modi e mondi possibili
Riflessioni di un obiettore di coscienza e di una attivista
Dalla Seconda Guerra Mondiale, al processo di Norimberga, dai movimenti per la nonviolenza e il disarmo, fino a arrivare alle Università per la Pace12 dicembre 2020 - Laura Tussi - A scuola con Agenda Onu 2030
L’Agenda delle idee
Progetti di sviluppo dell’educazione all’attivismo partecipativo in base agli obiettivi di Agenda Onu 20305 dicembre 2020 - Laura Tussi - Attivismo di pace e nonviolenza
Esperienze di attivismo: dialoghi con Laura Tussi
Lavorare in rete, tessere complicità e punti di forza con tutti i compagni di viaggio in cammino verso la pace e la nonviolenza14 novembre 2020 - Fabrizio Cracolici
Sociale.network