Palestina

Il diritto dei palestinesi, il diritto degli israeliani

11 gennaio 2005
Ali Rashid
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Le elezioni in Palestina, per chi conosce il paese direttamente e non attraverso i media internazionali, non hanno impresso novità clamorose, ma segni di continuità delle sue dinamiche radicali e composte. Abu Mazen ha ottenuto il 63 per cento dei consensi come ci si aspettava e come era già emerso dai sondaggi precedenti. Un risultato che corrisponde effettivamente al peso di Al Fatah, la maggiore forza politica palestinese, che ha ritrovato momentaneamente la sua unità. Il maggiore concorrente, Mustafà Barghuti, ottenendo il 20 per cento dei consensi, da una parte ha sottratto voti alle forze della sinistra storica in Palestina e dall'altra ha dimostrato che questa area è sempre più radicata nella società civile. Il dato più significativo di questa elezione è rappresentato però dall'orgoglio e dalla dignità con cui i palestinesi hanno affrontato questa sfida. Nonostante i lunghi anni di oppressione israeliana, massiccia e sistematica, nonostante gli ostacoli e gli abusi di ogni tipo, hanno dimostrato una volontà molto determinata nell'essere protagonisti del proprio destino, dando la priorità assoluta alla riorganizzazione delle loro istituzioni rappresentative in senso laico e democratico, in attesa di un maggiore impegno della comunità internazionale affinchè Israele cambi il suo atteggiamento. Oggi di nuovo, caduto il falso pretesto di Arafat considerato "ostacolo al processo di pace", il destino di questo processo dipende soltanto da Israele: il ritiro unilaterale da Gaza, anche se non inteso come l'inizio della fine dell'occupazione di tutti i territori palestinesi occupati dopo la guerra del '67, compreso Gerusalemme, non è sufficiente.

Merita particolare considerazione il tono pacato di tutte le forze politiche durante la campagna elettorale e i loro commenti dopo. Non ci sono state irregolarità macroscopiche, se non alcuni sbagli dovuti al poco tempo a disposizione - due mesi in tutto - e le difficoltà oggettive causate dall'occupazione. Sbagli e irregolarità segnalate in modo fermo, ma che non hanno alterato il risultato definitivo. Positivi anche i commenti degli osservatori internazionali. E tutto questo è motivo di orgoglio e di soddisfazione per tutti i palestinesi che non vogliono accettare lezioni sulla libertà e sulla democrazia da nessuno. Per quanto riguarda il neo presidente eletto, chi lo conosce da vicino sa che per democrazia non intende soltanto una tecnica del voto, ma un impegno complessivo su molti piani per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi, garantire partecipazione e trasparenza e richiamare il senso di responsabilità di tutti, compresi gli avversari politici e persino il cosiddetto nemico israeliano. Abu Mazen ritiene la resistenza contro l'occupazione e per la libertà un dovere e non soltanto un diritto sancito dalla legalità internazionale. Ma ha aspramente criticato la militarizzazione dell'Intifada, perché dannosa e inutile. Ha parlato invece della via democratica alla liberazione, un concetto più ampio e disteso della nonviolenza: non un atto di debolezza, ma l'espressione della forza di chi ha la ragione dalla sua parte. Si tratta di un processo aperto alla partecipazione anche di chi sta dall'altra parte, di un tentativo di camminare verso la libertà liberando la maggioranza dei palestinesi e degli israeliani dal ricatto di una minoranza che vede nella forza l'unico strumento per annientare il diverso. Il diverso che viene dipinto immediatamente come nemico, anche perché la storia drammatica di quel conflitto - diverso da tutti gli altri - ha creato ed ampliato continuamente la categoria del nemico. Il conflitto israelo-palestinese è un conflitto tra due popoli che hanno una storia di immenso dolore e paura: solo un confronto leale ed onesto può aiutarci a rielaborare le nostre storie, e prendere in mano il nostro destino. Entrambi abbiamo bisogno di essere rassicurati rispetto al nostro diritto a una vita serena e sicura, entrambi sentiamo il bisogno di appartenere ad una civiltà millenaria che si rinnova ed include e che non ha bisogno dell'uso della forza o del terrorismo, ma che sa cogliere le possibilità di crescita umana, implicita nel confronto con le diversità e non sceglie la via della distruzione dell'altro. Mi auguro che l'elezione di Abu Mazen apra questa strada.

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