Conflitti

Sri Lanka, un anno dopo la sconfitta delle Tigri del Tamil

8 aprile 2010
Vincenzo Gallo

A quasi un anno dalla definitiva sconfitta militare dell'LTTE (Liberation Tigers of the Tamil Eelam) nel conflitto interno che ha causato la morte di oltre 70.000 persone dal 1983 alla metà del 2009 e che ha costretto quasi 300.000 abitanti ad abbandonare le loro case, la situazione politica interna si presenta estremamente delicata ed il governo fa tuttora ricorso al pugno di ferro per garantire l'ordine interno e per piegare la resistenza delle opposizioni politiche nel paese.

Sri Lanka

A partire dall'inizio del 2009 il governo dello Sri Lanka ha accelerato i tempi per il lancio dell'offensiva militare ai danni dell'LTTE con pesanti ripercussioni sulla sorte di centinaia di migliaia di civili nella regione colpita dai combattimenti. A maggio 2009 nell'assalto finale alla roccaforte dei ribelli nel nord-est del paese venne ucciso il leader delle LTTE, Velupillai Prabhakaran, e da allora sono oltre 10.000 i sostenitori delle LTTE detenuti in istallazioni militari che attendono di essere processati.

I ribelli dell'LTTE sono stati per anni considerati tra i gruppi di guerriglia meglio organizzati e si è accertato che potessero contare su un patrimonio finanziario stimato in non meno di mezzo miliardo di dollari attraverso il possesso di attività economiche nel paese e all'estero nonché sull'appoggio finanziario e logistico di numerosi sostenitori della causa del gruppo sparsi in tutti i paesi della diaspora che riguarda questo popolo. Per anni in molti paesi dell'UE e del Nord America il sostegno alle LTTE è stato garantito attraverso attività di raccolta e gestione di fondi, intermediazioni per l'acquisto di armi sofisticate e campagne propagandistiche gestite dai sostenitori delle LTTE ben integrati in tali aree. La certezza dell'esistenza di un apparato di tali potenzialità è causa dei timori del governo di una possibile riorganizzazione dei gruppi della guerriglia e della conseguente ripresa delle ostilità; ad un anno dalla fine degli scontri armati nel paese resta in vigore lo stato d'emergenza con tutte le pesanti limitazioni alle libertà personali e ai diritti dei cittadini. Il rinnovo dello stato d'emergenza durante i 26 anni di guerra interna, pur subordinato alla ratifica parlamentare entro 10 giorni dall'adozione dell'atto da parte del governo pena la decadenza dell'atto stesso, poteva essere giustificato da motivazioni di sicurezza ma ad un anno dalla fine delle ostilità non sono chiare le ragioni per le quali continuano ad essere arrestati e detenuti senza poter accedere alle corti nazionali numerosi sostenitori delle LTTE.

I leader politici delle regioni un tempo controllate dalle LTTE hanno tentato di rassicurare il governo dello Sri Lanka sull'assenza di qualsiasi azione finalizzata alla riorganizzazione militare dei gruppi e della ripresa delle ostilità come affermato a dicembre 2009 dal leader del PLOTE (People's Liberation Organization of the Tamil Eelam), Sitharathan; il leader del PLOTE annunciò addirittura che avrebbe appoggiato la campagna elettorale del presidente Mahinda Rajapakse nelle elezioni tenutesi a gennaio 2010 e che hanno avuto come risultato la rielezione di quest'ultimo.

Il percorso politico iniziato a gennaio 2010 con le elezioni presidenziali si è dimostrato sin dalle fasi iniziali estremamente conflittuale e causa di ulteriori tensioni nel paese; il presidente Rajapaska una volta rieletto ha deciso l'arresto del principale avversario politico, Sarath Fonseka, per il presunto coinvolgimento di quest'ultimo in un tentativo di colpo di stato e di rovesciamento del governo de paese. Sarath Fonseka, ex capo dell'esercito e più volte indicato dal presidente Rajapaska come un eroe nazionale per i brillanti risultati ottenuti durante il conflitto contro le Tigri del Tamil, si trova dall'8 febbraio in carcere e dovrà affrontare due processi distinti di cui uno dinanzi alla corte marziale per violazioni non meglio precisate del codice di condotta militare e rischia una condanna ad almeno 5 anni di reclusione. L'arresto dell'ex generale ha suscitato scalpore e proteste nel paese soprattutto perché si teme che ciò sia stato l'ennesimo espediente del governo per piegare le opposizioni politiche in vista delle prossime elezioni parlamentari di aprile 2010; è appena il caso di ricordare che il Parlamento nazionale è stato recentemente sciolto dal presidente e che verrà completamente ricostituito solo dopo le elezioni di aprile. Anche a livello internazionale la situazione politica del paese è monitorata con grande attenzione e molte critiche sono state mosse in UE, USA ed in seno all'ONU con riferimento alle presunte violazioni dei diritti di libertà dell'ex generale; non è stato chiarito l'esatto contenuto delle accuse formulate a suo carico nonché le modalità di svolgimento dei processi ed è tuttora in forte dubbio la possibilità di permettere l'accesso di giornalisti e reporter alle udienze.

La regione del Tamil continua a pagare il prezzo pesantissimo di 26 anni di conflitto con una popolazione stremata e costretta a subire le conseguenze terribili dello sfollamento di centinaia di migliaia di persone. La comunità internazionale ed i paesi donatori hanno espresso profonda preoccupazione per le condizioni di vita delle persone ospitate nei campi per profughi e rifugiati e per le continue violazioni dei diritti umani registrate in tali siti; particolare apprensione ha suscitato la scarsa mobilità e libertà di movimento delle migliaia di profughi ospitati tanto che delle oltre 200.000 persone interessate dallo sfollamento a fine ottobre 2009 poco più di 26.000 avevano lasciato i campi per far ritorno nelle loro case o per essere ospitati da parenti. Secondo le notizie delle Nazioni Unite nonostante la disponibilità di fondi sufficienti raccolti attraverso il CHAP (Common Humanitarian Action Plan), ovvero circa 200 milioni di dollari per lo svolgimento di 185 progetti, il governo ancora ad ottobre 2009 non aveva compito gli sforzi necessari ad assicurare il rapido ritorno degli sfollati. Alcune fonti governative sostenevano al contrario che il lavoro del governo procedeva speditamente e che eventuali rallentamenti del processo erano imputabili solo all'intenzione di monitorare la presenza di appartenenti agli ex gruppi di ribelli dell'LTTE nei campi di accoglienza.

La situazione umanitaria della popolazione è ulteriormente aggravata dalla presenza nel territorio di un numero incalcolabile di mine e dispositivi esplosivi disseminati nei 26 anni di conflitto. Secondo i dati del Landmine Monitor Report in Sri Lanka dal 1999 al 2008 la deflagrazione di mine ha causato il ferimento di 1272 persone e 117 vittime. La presenza di mine rende estremamente difficoltoso il ritorno delle persone nei luoghi di origine e la ripresa delle attività necessarie alla sussistenza della popolazione. La posa casuale delle mine, l'assenza di informazioni precise e la scarsità di attrezzature e personale idoneo allo sminamento contribuirà a rallentare il processo di re insediamento degli sfollati. Alcune aree del paese come Jaffna, Kilinochchi, Mullaitivu, Vavunyia e Mannar sono gravemente disseminate di mine ed è in tali aree che si concentrano maggiormente gli sforzi della comunità internazionale finalizzati alla bonifica del territorio.

Nelle regioni colpite dalla guerra l'attenzione della popolazione più che alle rivendicazioni territoriali ed indipendentiste è rivolta al ristabilimento delle condizioni di vita e sembra che attualmente la regione abbia accantonato le aspirazioni alla base del conflitto ovvero l'affrancamento dal governo di Colombo. Il principale partito politico della regione, il Tamil National Alliance, a marzo 2010 ha infatti annunciato di voler accettare la soluzione della ripartizione dei poteri nell'ambito di uno stato federale ma ha dichiarato altresì che procederà ad una forma di resistenza passiva sul modello ghandiano della non violenza attraverso una campagna di disobbedienza collettiva se il governo non si dimostrerà propenso a tutelare i diritti della minoranza Tamil nel paese.

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