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Successi finora limitati nonostante i costi sostenuti per ridurre le emissioni

L'Italia promette una riscossa

«Andremo a Bali a negoziare i tagli, ma soprattutto le regole di Kyoto 2» azzardava qualche settimana fa Alfonso Pecoraro Scanio.
4 dicembre 2007
Fonte: Il Sole 24 Ore

Alfonso Pecoraro Scanio Il ministro dell'Ambiente volerà alla conferenza mondiale sul clima tra qualche giorno, tirando le fila della missione tecnica guidata dal guru ministeriale Corrado Clini. Ma a richiamare Pecoraro alla poco consolante realtà ecco la nutrita schiera di analisti che fotografano dall'esterno la missione italiana. La nostra autorevolezza negoziale? Scarsa.

Su Kyoto l'Italia ha sbagliato due volte e qualcuno prevede un terzo fiasco. Primo e ormai stranoto sbaglio: avere accettato quote di riduzione di CO2 velleitarie, irrealistiche e comunque inique rispetto a quanto assegnato agli altri Paesi. Secondo sbaglio: gli atti che dovevano favorire la riduzione hanno prodotto costi tangibili e risultati prossimi allo zero. Terzo sbaglio in vista: nella seconda tranche di impegni, quella che dovrebbe coprire il periodo 2008- 2012 della prima fase del protocollo ambientale, stiamo guadagnando una nuova formale bocciatura della Commissione Ue.

A sintetizzare il problema ci sono innanzitutto i numeri. Una decina di anni fa, quando il piano Kyoto prese forma, vantavamo una " base" di efficienza energetica ai vertici europei. Anziché rivendicare uno sconto sugli obiettivi abbiamo accettato di ridurre le emissioni del 6,5%rispetto al'90,accollandoci costi dell'operazione onerosi proprio in conseguenza di questa "base" già relativamente alta. Sta difatto che rispetto al '90 (quando il sistema Italia ha piazzato nell'atmosfera poco meno di 520 milioni di tonnellate di CO2) le emissioni, col crescere della richiesta energetica, anziché diminuire sono cresciute del 13,5 per cento.

Le volenterose campagne di incentivi antinquinamento? Poco influenti. Per due motivi. Uno contabile e l'altro burocratico. Quello contabile deriva dal fatto che tutta la prima parte del piano Kyoto ha pagato (specie qui da noi) il suo difetto originale: a contribuire al taglio dei gas serra è stata chiamata solo l'industria, e nel suo ambito alcune categorie tradizionalmente assetate, specie in Italia, di materia prima petrolifera: la generazione elettrica e alcuni cicli industriali (vetro e cemento, ad esempio).

Settori che costituiscono circa un terzo delle fonti di emissione di gas serra nel nostro Paese. Tutto il resto è stato fatto salvo: i trasporti e il settore residenziale (per i riscaldamenti, innanzitutto). Bene, anzi male. Perché sui trasporti molto si è fatto, con le campagne di rottamazione e con gli obblighi a carburanti sempre più puliti. Ma essendo i trasporti esclusi da Kyoto tutto ciò ha contribuito tecnicamente ma non " contabilmente".

Più inquietante, per molti versi, quel che è accaduto nel settore residenziale: che fine stanno facendo gli incentivi all'efficienza e al risparmio introdotti nell'ultimo quinquennio e oggetto dell'impegno dell'attuale ministro dello Sviluppo Pier Luigi Bersani? Emblematico il richiamo di un luminare della materia, Gianbattista Zorzoli: «Ho provato personalmente ad accedere agli incentivi ma ho dovuto cedere alle difficoltà burocratico-intepretative e ai costi richiesti per la certificazione delle opere, che rischiano di annullare ogni vantaggio economico per il cittadino».

Ora il Governo promette una riscossa, proprio in nome della ridefinizione dei meccanismi di Kyoto che dovrebbe segnare la seconda fase, dal 2012. Il settore elettrico continuerà ad avere grandi attenzioni, promette Pecoraro Scanio. Che proprio ieri ha battezzato la task force guidata dal Nobel Carlo Rubbia per lanciare il solare termodinamico italiano partendo dalle tre regioni (Lazio, Calabria e Puglia) subito disponibili a spianare la strada agli impianti, che godranno (il decreto dovrebbe essere varato la prossima settimana) degli stessi incentivi deliberati in Spagna: 25 centesimi di euro per kilowattora per 20 anni.

Ma tutti andranno nel frattempo coinvolti, spalmando equamente i nuovi sforzi ambientali: industria, trasporti e residenziale. Tant'è che in questi giorni al Cipe è stato dato il compito di varare una nuova direttiva che aggiorni quella emessa nel 2002 estendendo il sistema-Kyoto anche ai settori esclusi.L'Italia aveva annunciato una mossa di questo tipo nell'edizione 2008-2012 del suo piano, presentato nei mesi scorsi (con ritardo) alla Ue. Un piano che la Commissione ha bocciato giudicando inattendibili molte delle misure, e chiedendo un coinvolgimento più ampio dei settori finora esclusi. Con un ulteriore taglio, intanto, di almeno 13 milioni di tonnellate di CO2 rispetto ai 209 milioni che il nostro Paese propone di assegnare ogni anno ai settori già coinvolti.

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