Conflitti

Altre forze di pace delle Nazioni Unite nell'est del paese

Repubblica Democratica del Congo: una nuova missione ONU ma le armi continuano ad arrivare

Si chiama "Falcon Sweep" ed è la più grande operazione ONU in Congo RD. Il suo compito sarà quello di disarmare le milizie ribelli nell'est del paese. Intanto continuano le denunce di Amnesty International sul traffico di armi diretto in Africa.
21 luglio 2005
Ottavio Pirelli

E’ partita lunedì scorso la più grande operazione mai compiuta dalle forze di pace delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo. Lo scopo dell’offensiva, denominata “Falcon Sweep”, è di ampliare la cintura di sicurezza sotto il controllo ONU nella regione del Walungu, nell’est del paese.

Secondo quanto riferito da Stéphane Dujarric, portavoce ONU, oltre a prendere maggiore confidenza con il territorio e con la popolazione locale, i militari impegnati sul campo hanno il compito di spingere allo scoperto i gruppi di miliziani che infestano la zona. Più di un migliaio di soldati, tra caschi blu pachistani, forze speciali guatemalteche e truppe dell’esercito regolare congolese, sono stati impiegati a sostegno della brigata di peacekeepers di stanza nella regione del Sud Kivu.
Si tratta di un primo passo importante per la messa in sicurezza della zona, come sottolinea alla IRIN Thierry Provendier, portavoce della missione internazionale in Congo (MONUC). L’azione militare intrapresa apre, infatti, la strada al dispiegamento permanente di un contingente di truppe nel martoriato villaggio di Ninja.

I gruppi di ribelli hutu ruandesi, riparati nell’est del Congo dopo l’eccidio perpetrato ai danni dell’etnia tutsi nel 1994, imperversano nei piccoli centri abitati più lontani dai capoluoghi protetti, saccheggiando, rapendo e uccidendo civili inermi.

Amnesty denuncia il traffico d’armi

Il Congo sta vivendo una fase di transizione, dopo sette anni di guerra, in una situazione di instabilità permanente, che rischia di far riesplodere conflitti e tensioni, oltre a creare un clima di diffusa insicurezza tra la popolazione civile.

A gettare una nuova inquietante luce sulle violenze che attraversano il paese è arrivato ora un nuovo rapporto redatto da Amnesty International e presentato il 5 giugno scorso alla stampa. Tra le pagine di "Democratic Republic of Congo: Arming the east" è contenuta la denuncia esplicita del traffico di armi che ininterrotto continua a sostenere i gruppi armati nascosti tra le fitte foreste del Congo. Fucili e munizioni che, da Inghilterra, Israele, Stati Uniti, Balcani e Europa Orientale, prendono la strada dell’Africa e che i governi di Congo, Ruanda e Uganda, si preoccupano di far arrivare alle milizie più vicine ai loro interessi.

Un’accusa terribile, quindi, nei confronti dei tre stati africani, ma anche nei confronti della comunità internazionale, colpevole di non riuscire a bloccare questo flusso di armi dal nord del mondo.

Accuse rinviate al mittente dal Ministro dell’Informazione Ugandese, sentito dall’Agenzia IRIN. Nsaba Buturo ha infatti negato nella maniera più categorica che il suo paese possa essere interessato a rifornire di armi i ribelli presenti nel Congo orientale, affermando che è invece volontà dell’Uganda favorire il ripristino della legalità nella regione dei Grandi Laghi attraverso il disarmo di ogni milizia. Sdegnata la risposta delle autorità ruandesi, anch’esse decise nel rigettare le accuse del rapporto attraverso le parole del Ministro alla Cooperazione Regionale Protais Mitali.

Nonostante le reazioni dei governi implicati, il rapporto di Amnesty è così circostanziato da aver spinto nei giorni scorsi i responsabili dell’organizzazione a rivolgersi direttamente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La richiesta è stata quella di rinforzare i controlli all’embargo sulle armi che dal 2002 grava sul Congo.

Un’attenzione maggiore da parte degli ispettori delle Nazioni Unite, soprattutto negli scali merci aeroportuali, potrebbe mettere un freno al traffico illegale verso la regione africana dei Grandi Laghi.

Ottavio Pirelli

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