Conflitti

Controllo dei danni: i media americani trascurano il Lancet Report. Di nuovo

Come per lo studio di Lancet del 2004, la stampa mainstream americana è di nuovo riuscita a nascondere e far sparire i dati sulle vittime, decisamente imbarazzanti per gli Stati Uniti e le forze di occupazione di stanza in Iraq.
15 novembre 2006
Anthony Di Maggio (docente di Politica Mediorientale e Governo Americano all'Illinois state University e caporedattore di 'The Indy')
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: Zmag - 17 ottobre 2006

Lo studio più recente sulle vittime in Iraq è comparso tra le notizie per la prima volta mercoledì scorso, anche se la maggior parte degli americani probabilmente non lo sapranno vista la scarsa (o non esistente) copertura offerta dai media tradizionali. La ricerca (pubblicata sul Lancet Medical Journal), portataavanti da studiosi della Johns Hopkins e del MIT, in coordinamento con la Mustansiriya University School di Baghdad, misura le morti in Iraq durante tutto il periodo dell'occupazione americana, stimando che circa 655mila iracheni sono probabilmente morti, la maggior parte a causa dell'excalation di violenza nel paese. Lo studio calcola una media di 3.2 morti ogni 1000 iracheni nell'anno dopo l'invasione del 2003, un numero aumentato fino a 12 su 1000 nel periodo giugno 2005-giugno 2006.
La ragione principale della disattenzione dei media americani per il Lancet report ha più a che fare con le implicazioni politiche che con i presunti problemi metodologici. In un momento in cui gli USA dichiarano di combattere per fermare la guerra civile e la diffusa esplosione della violenza in Iraq, questo studio suggerisce che l'occupazione americana sarebbe parte del problema, più che parte della soluzione. Lo studio usa una metodologia standard per stimare le morti nelle zone di guerra. Monitorando 1840 gruppi domestici scelti casualmente nelle 18 regioni dell'Iraq e nei 47 distretti, si è calcolato (con un'attendibilità del 95%) che il numero di morti è tra 426.369 e 793.63. A tutti i gruppi domestici che avevano dichiarato la perdita di un membro della famiglia è stato chiesto di mostrare il certificato di morte; nel 92% dei casi, la famiglia ha acconsentito. Le aree di studio sonostate scelte in base alla densità abitativa, piuttosto che ai livelli di violenza.
Ovviamente, stime complessive delle morti con metodi simili sono state calcolate in Congo e Darfur, e in quei casi lo sforozo ha ricevuto apprezzamenti (o comunque non uno scetticismo tanto intenso)per aver fornito un indicatore importante della scala del disastro umanitario. Quindi perchè questo discredito improvviso per lo studio sull'Iraq? Come gli osservatori più critici avranno senza dubbio notato, sono le parti responsabili, USA e Gran Bretagna, le maggiori cause della rapida sparizione dall'attenzione medatica.
Mentre le stime dell'amministrazione Bush di dicembre 2005, che calcolavano 30mila morti in Iraq, aveva ricevuto ampio spazio sulle prime pagine in tutto il paese, gli studi di Lancet (nel 2004 e ora nel 2006) sono stati prevedibilmente messi da parte in un momento in cui USA e Gran Bretagna sostengono che i motivi umanitari siano la principale causa della loro permanenza in Iraq. Dei tre maggiori quotidiani americani - Los Angeles Times, Washington Post e New York Times – nessuno ha scelto di menzionare la vicenda sul proprio sito web. Inoltre, nessuno di essi ha ritenuto che le morti di massa in Iraq fossero degne della prima pagina. Quando la storia è apparsa, l'11 ottobre, il New York Times l'ha sepolta a pagina A16, mentre LA Times e Washington Post la misero entrambi a pagina A12. La situazione è ancora peggiore nella stampa regionale. I giornali del Midwest, come il Chicago Tribune e il Chicago Sun Times, non si sono neanche preoccupati di prenderla in considerazione nei numeri dell'11 ottobre. Storie futili come l'adozione da parte di Madonna di un bambino del Malawi e la scoperta di un cammello di 100mila anni fa grande il doppio del cammello medio attuale hanno entrambe battuto il Lancet report nel Chicago Sun Times, che è solo un esempio rappresentativo delle priorità dei giornalisti americani, dei redattori e dei proprietari.
La più moralmente reprensibile, in ogni caso, potrebbe essere la copertura del Tribune. Seppur ignorata nel numero dell'11 ottobre, la notizia è apparsa il giorno dopo, infilata a pagina 12, sotto un titolo che citava il presidente Bush che ne metteva in dubbio la credibilità. L'articolo proseguiva sostenendo che, mentre 601mila delle 655mila morti erano effettivamente risultato della violenza in Iraq, 'i decessi in eccesso rimanenti erano per cause naturali, provocate da un peggioramento delle infrastrutture a causa della guerra.' Suggerire che le morti di decine di migliaia di iracheni provocate dalla consapevole distruzione delle infrastrutture del paese (svolta in gran parte dagli americani) siano in qualche modo 'naturali'ne dice molto sugli sforzi dei media americani per nascondere i crimini di guerra USA.
Per quelli che sostengono che l'asservimento dei media e l'accondiscendenza verso i governi sia in qualche modo inevitabile in tempo di guerra, non ha valore la differenza nella copertura dei media arabi e britannici rispetto a quelli americani. Dei quattro maggiori quotidiani inglesi (the Guardian, the Independent, the Telegraph, and the Times), tre hanno deciso di occuparsi della vicenda nei loro siti web, e due (The Guardian and the Independent) hanno messo la storia in prima pagina nell'edizione cartacea. Il tono del resoconto era anche maggiormente avversativo, in quanto il sottotitolo dell'Independent sosteneva che 'questa choccante statistica rivela il vero costo della guerra' e quello sul sito del Guardian diceva che 'la guerra reclama un iracheno su quaranta'. La copertura dei media arabi aveva una vena critica simile: Al Jazeera ha inserito la vicenda in cima alla versione inglese del suo sito, spiegando che circa il 2,5% della popolazione irachena sarebbe stata uccisa, secondo i calcoli dello studio.
La copertura a singhiozzo organizzata per sostenere i leader politici occidentali, dunque, non era pre-ordinata dalle alte sfere. I media britannici avrebbero potuto scegliere anch'essi di nascondere la vicenda, considerando che il primo ministro Blair, come Bush, aveva rifiutato lo studio in quanto mancherebbe di credibilità (lo stesso vale per Al Jazeera, visto che anche i leader politici iracheni hanno bollato lo studio come esagerato). Invece, questi mezzi d'informazione hanno scelto di sfidare la propaganda ufficiale dell'”intento umanitario” della missione in Iraq. La collocazione della vicenda Lancet, sepolta tra le pagine dei giornali americani, rappresenta una scelta altrettanto consapevole, stavolta quella di mascherare le colpe americane nelle morti di massa degli iracheni. Ovviamente, sottolineare l'accondiscendenza verso il potere dei media americani non vuol dire sostenere che gli studi Lancet sono privi di difetti. Si tratta sempre di stime, non di conteggi ufficiali dei cadaveri, il che significa he il valore stimato di 655mila morti potrebbe essere troppo alto o troppo basso, tenendo anche presente che una conta delle vittime completa e accurata sarebbe impossibile visti la violenza crescente e il caos sociale. Il punto non è se le vittime siano 100mila o 900mila, ma piuttosto la responsabilità dei media nelle scelte sulla copertura del conflitto iracheno.
Certamente il Lancet report merita altrettanta (se non maggiore) attenzione che gli altri conteggi delle vittime, come la statistica che ne conterebbe 300mila, citata da Bush, che ha però ottenuto spazio sulle prime pagine. La decisione di ignorarlo rivela l'impegno dei media nel farsi cagnolino dell'amministrazione Bush, piuttosto che efficace cane da guardia dell'interesse pubblico di avere resoconti giusti e onesti del conflitto iracheno e delle sue conseguenze.

Note: Articolo originale: http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?ItemID=11201
Tradotto da Chiara Rancati per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile per scopi non commerciali citando la fonte, l'autore e il traduttore.

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