Conflitti

Le forze d'occupazione negano a 1.000 iracheni il ritorno in patria

7 maggio 2003
Rosarita Catani

DUBAI, 5 MAGGIO 2003 - A circa 1000 iracheni, che si trovavano negli Stati del Golfo, prima dell’invasione Americana e Britannica, è stato negato il loro diritto di ritornare in Patria poiché non esistente l’amministrazione civile. A Dubai erano più di mille gli iracheni con le loro famiglie fermi al Porto di Rashid, per chiedere l’imbarco sulla nave che li avrebbe dovuti portare a casa. Gli iracheni hanno protestato quando si sono visti negare da due compagnie marittime al porto d’Umm Qasr, controllate dalle forze britanniche, con il pretesto che non vi è amministrazione e sicurezza per loro, il ritorno in patria. Gli iracheni aspettavano al porto da circa due settimane.

Per queste tragiche circostanze che l’autorità UAE ha ottemperato ad alleviare le loro sofferenze badando a fornire materiale, assistenza ai bambini e tende per donne e bambini. Amer Hafez, un cittadino iracheno, racconta che lui è venuto con la sua famiglia negli Emirati Arabi Uniti dopo suo fratello, che risiedeva lì, ha ottenuto per lui un visto per visitare lo Stato del Golfo. Poi, quando ha deciso di ritornare a casa l’occupazione Anglo-americana gli ha negato il suo legittimo diritto.

“Ho letto un avviso di una compagnia marittima che stava organizzando un viaggio per l’Iraq dal porto d’Umm Qasr ed io speravo di ritornare a casa, ho anche finito i miei soldi. Gli Emirati Arabi hanno dei prezzi molto alti”
“Sto aspettando questo momento, il viaggio non è stato fatto. Mi reco alla compagnia ogni giorno e loro mi dicono di aspettare”.
“Che cosa farò con una moglie e quattro bambini?” “Mio fratello non ci può ospitare”.

Suliman Rashid Hussein, racconta che adesso dorme in porto dopo aver dormito alcune notti nella moschea di Dubai.

“Non abbiamo nessuno che ci aiuta. Possiamo solo ritornare in Patria. Siamo
fuggiti dagli attacchi, l’occupazione insiste nel cacciarci dall’Iraq. Questa è una grand’umiliazione per tutti.”
“Noi non aspettiamo altro che questa Guerra finisce, vogliamo semplicemente
ritornare a casa. Sto aspettando un posto su una nave per rivedere l’Iraq, qui sto vivendo sulla strada da più di due settimane, perché le truppe inglesi non permettono alle navi commerciali di entrare nel porto d’Umm Qasr”

Mohamed Sabah, afferma di essere stato sia al consolato americano sia a quello britannico in Dubai per avere spiegazioni in merito, la risposta è stata che non entrano nel porto d’Umm Qasr le navi commerciali.

“E’ questa quella che chiamano liberazione?” Urla Adel Nafie. “Noi siamo partiti dall’Iraq durante l’era di Saddam Hussein, che dicono sia un dittatore. Loro dichiarano di averci liberato, noi non siamo ancora in grado di ritornare nelle nostre case e di fare ritorno in Patria”.
“Ho provato ad entrare in Iraq via Giordania, ma è fallito il tentativo di attraversare il confine Giordano per l’Iraq. Non spero ora di ritornare attraverso gli Emirati Arabi. Tutti gli Stati hanno chiuso i confini sulla nostra faccia, nessuno osa confrontarsi con le forze d’occupazione”.

Lo stesso carattere di questa tragedia è accaduto nello Stato di Bahrain, dove famiglie irachene hanno esortato la Luna Rossa di Bahraini, l’organizzazione dei diritti umani ed il ministero degli Esteri per facilitare il loro ritorno in Patria. Il quotidiano Al-Ayam ha intervistato un iracheno che visitava Bahrain prima della Guerra e dice che “Voleva far ritorno a casa prima della crisi. Ma, la sua crisi è stata complicata giacché a lui ed alla sua famiglia è stato negato il ritorno all’Iraq via Damasco o Amman”. Lui ha preso contatto con due ambasciate arabe per ottenere un visto, ancora gli hanno detto di aspettare finché le cose non saranno più chiare. Maged Al-Hakim, del consolato siriano in Bahrain, racconta” I cittadini arabi non hanno bisogno del visto per entrare in Siria, ma le cose sono differenti per gli iracheni, poiché adesso gli stessi sono sotto occupazione ed il loro permesso deve avere la loro approvazione”. Lui afferma che la Siria ha avuto delle pressioni e quindi i consolati hanno avuto dirette istruzioni da Damasco che ogni iracheno deve avere un permesso prima di entrare nel territorio siriano.

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