I dannati di Varanasi

I tessitori dei prestigiosi sari sempre più esclusi dalla crescita economica indiana
8 ottobre 2007
Emili Wax (Washington Post Foreign Service)
Fonte: da Persona a Persona 9/07 (www.pangeaonlus.org) - 01 ottobre 2007


In fondo a un labirinto di edifici di stucco, in un laboratorio buio come una cantina, Mohamed Javen, 18 anni, avvitata una lampadina, si siede davanti al suo fragile telaio e inizia a lavorare a quello che un tempo era il bene più prezioso di ogni sposa indiana: il sari di seta tessuto a mano.

I suoi piedi pigiano sui pedali di bamboo, producendo uno scalpiccio ritmico. Posiziona con cura i fili di fibra argentata nella seta verde, producendo un intreccio scintillante di foglie, elefanti e uccelli che si dispiegano come una pittura.

Questo disegno, che è tradizionale della famiglia di Javen da un secolo, può richiedere fino a due mesi per essere realizzato. Immagini come questa sono state la fonte dell’orgoglio indiano per più di 2000 anni, con la versione indiana dell’alta moda ad adornare le ricche signore dell’impero romano, egiziano e persiano.

Fino a poco tempo fa, la tessitura è stata la seconda fonte di occupazione nel subcontinente, dopo l’agricoltura.

Nell’antica città lungo il Gange, il fiume sacro dell’induismo, circa un milione di tessitori di sari stanno andando in rovina. Sari poco costosi, filati a macchina – molti dei quali sono copia di quelli di Varanasi – hanno invaso il mercato dalla Cina e dalle fabbriche del Gujarat.

Ad aggiungersi ai guai dei tessitori, anche le variazioni della moda e le regole del mercato globale che hanno aperto il mercato indiano ai concorrenti stranieri, lasciando molti tessitori e le loro famiglie – prima economicamente agiati – nella povertà più disperata.

“Questo telaio finirà in un museo”, dichiara sfiduciato lo zio di Javen, Nazir Ahmed, 30 anni, la cui famiglia ha dovuto fermare 12 dei 14 telai. "Non lo avremmo mai immaginato. Eravamo considerati artisti. Ora viviamo in povertà".

La nuova India è la patria di autostrade moderne e grattacieli lucenti, tutti elementi del mondo sviluppato. Milioni di artigiani, lavoratori manuali e agricoltori sono rimasti esclusi dal boom economico. Quasi il 70% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno e con oltre il 40% dei suoi figli malnutriti, secondo le Nazioni Unite l’India è in una condizione peggiore dell’Africa in termini di salute infantile.

L’India è carente anche di un sistema di previdenza sociale, lasciando i tessitori, gli agricoltori e le altre categorie vulnerabili in balia del mercato. È un gap nella corsa a diventare un Paese sviluppato che il Primo Ministro Manmohan Singh ha garantito di colmare.

"Questo è l’aspetto terribile e doloroso della globalizzazione. Una vera crisi. Se l’India sta vivendo un boom economico, questo non è visibile tra i tessitori o gli agricoltori, cioè la maggior parte del Paese", afferma Lenin Raghuvanshi, a capo del People’s Vigilance Committee for Human Rights, "Aiutare quanti sono rimasti indietro è la sfida più grande del Paese".

Poche professioni in Sud Asia erano altrettanto considerate di quella dei produttori di sari, in parte artisti in parte artigiani. Usando dei semplici telai azionati a pedale, per generazioni i tessitori hanno creato immagini e scene elaborate di matrimoni, alberi di mango e processioni moghul, adornate di elefanti e carri trainati da cavalli.

Il padre dell’India, Mohandas Gandhi, avvolto nel suo dhoti tessuto a mano, ha lanciato il suo movimento nazionalista per sfidare il colonialismo incoraggiando gli indiani a dismettere gli abiti britannici prodotti a macchina a favore delle stoffe indiane, in parte come un gesto di fiducia in sé stessi. Il sari di Varanasi, tessuto a mano, è diventato un simbolo nazionale dell’indipendenza indiana.

Ma oggi il declino dell’industria dei sari sta avendo conseguenze tragiche. Nei villaggi e nelle città dell’Uttar Pradesh orientale, secondo il People’s Vigilance Committee, 175 tessitori si sono suicidati lo scorso anno, avviliti dal rovesciamento della loro sorte. Circa il 70% dei figli dei tessitori sono malnutriti, le famiglie non possono permettersi i medicinali di base per sé stesse e per i propri figli.

Questo è come Razia Khatoon, la moglie di un ex importante tessitore, è finita lo scorso anno per diventare una povera vedova con nove figli da sfamare.

Nel suo villaggio fuori Varanasi, i clienti hanno smesso di acquistare i suoi sari fatti a mano già alcuni anni fa. Ha dovuto vendere l’oro che aveva ricevuto al matrimonio, l’equivalente indiano di impegnare un anello di fidanzamento. Poco dopo, ha dovuto dare in spose le due figlie maggiori "così che almeno qualcuno potesse sfamarle", ha raccontato.

Suo marito, Mohammad Ismail, 50 anni, è caduto nella disperazione man mano i profitti hanno iniziato a diminuire. Ha contratto la tubercolosi e non è stato in grado di pagare le cure di cui aveva bisogno.

“I sari che tesseva erano per regine e principesse. Ma è cambiato tutto. Ha iniziato a rimpiangere di non aver insegnato ai figli qualcosa di più utile”, afferma Khatoon, 45 anni.

Ismail è morto nel 2006. Traumatizzata dal dolore e dalle difficoltà finanziarie, Khatoon passava le notti sveglia abbracciata ai figli. “Ero spaventata dal futuro”, sussurra, gli occhi che si arrossano quando ricorda la morte di Ismail. “Poi tutto è peggiorato”.

All’inizio dell’anno la sua bella figlia di 20 anni, Ruksana, è morta di tubercolosi. Ora si è ammalata anche la figlia di 16 anni, Salma, che riposa spossata su una stuoia fuori dalla baracca di famiglia.

Quello che rende la morte di Ismail e di sua figlia così sorprendenti è che questa famiglia di tessitori è sempre stata autosufficiente. (...)

Gli operatori sociali che stanno aiutando i tessitori affermano che l’industria necessita disperatamente di una campagna di marketing. Stanno interpellando le star di Bollywood perché sfoggino i sari di Varanasi nei film e li stanno cercando di proporre alle classi medie e alte come il “tailleur” dell’India nelle riviste di moda.

Ma la campagna stenta a decollare, in parte a causa dell’interesse per la moda occidentale.

Nelle nuovi metropoli, i kurta e le camicie fatte a macchina, sono diventate l’indumento preferito dai giovani. Lunghe e colorate, le camicie possono essere indossate sopra i jeans. Ma all’apertura del mercato indiano, gli outlet di moda occidentali come la Benetton hanno conquistato i giovani della classe media, desiderosi di mostrare il trend urbano che li distingue dai loro genitori.

Nonostante il boom economico nelle città dell’India meridionale, i quartieri dei tessitori di Varanasi assomigliano a ghetti, con gli uomini addormentati sotto i loro telai diroccati, coperti di ragnatele, strade piene di solchi con l’immondizia a ogni angolo e i muli che si trascinano carichi di acqua per cucinare e lavarsi.

“Non mi interessa nulla del boom indiano quando non ho cibo né soldi”, dice Poochland Dash, 60 anni, un nonno dai capelli bianchi, un tempo agiato tessitore che tra le lacrime ammette di pensare al suicidio. Sta cercando di vendere la sua casa, costruita durante l’età d’oro dell’industria del sari. “Se un acquirente mi insulta con un prezzo troppo basso, giuro mi uccido”, afferma Dash.

Ascoltando, la moglie scoppia a piangere "Se si suicida, mi suiciderò anch’io", confessa fissando lo sguardo a terra.

Note: da Persona a Persona - Fondazione Pangea Onlus
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