Primo discorso in publico del cofondatore di WikiLeaks dopo anni di reclusione

Julian Assange e i suoi sostenitori passano all’attacco

A Strasburgo, a New York e a Londra, Assange e i suoi sostenitori cominciano a chiedere conto degli eventuali illeciti commessi dai governi responsabili dei 14 anni di persecuzione giudiziaria inflitti al giornalista australiano.
27 settembre 2024
Patrick Boylan

Julian Assange finally released!

A Strasburgo il primo ottobre, la Commissione per gli affari giuridici e i diritti umani dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE), ha convocato come testimone proprio il cofondatore di WikiLeaks per illustrare gli illeciti che egli ritiene di aver subito durante la sua reclusione. L’organismo europeo ha già pubblicato un rapporto che collega la detenzione arbitraria di Assange ai tentativi, che si moltiplicano ovunque nel mondo, di mettere a tacere i giornalisti scomodi. Poi mercoledì, 2 ottobre, il giorno dopo l’udienza della Commissione, l’Assemblea del Palazzo d’Europa dovrà concedere ad Assange la qualifica di prigioniero politico e chiedere contestualmente una commissione indipendente per determinare quali trattamenti inumani o degradanti il giornalista investigativo ha subito durante la sua detenzione. La testimonianza che Assange offrirà martedì prossimo – sarà la sua prima uscita pubblica da quando è stato liberato – avverrà tra le 8.30 e le 10 ora italiana. La TV della Commissione trasmetterà in diretta l'intervento di Assange sul proprio canale YouTube, PACE TV.

A New York, invece, i quattro statunitensi (due avvocati e due giornalisti) spiati dalla CIA durante le loro visite ad Assange nell’Ambasciata ecuadoriana di Londra, continuano la loro causa contro l’Agenzia per aver violato i loro diritti alla privacy. La CIA aveva, infatti, preso e aperto i loro cellulari e registrato le loro conversazioni confidenziali con Julian. Lo scorso 19 dicembre, il giudice distrettuale di Manhattan, John Koeltl, gli ha riconosciuto il diritto di chiedere che i dati raccolti dai loro cellulari fossero cancellati dagli archivi della CIA – anche se, poi, il giudice ha negato loro il diritto di chiedere danni monetari per le registrazioni occulte delle conversazioni. Koeltl ha anche convocato davanti alla Corte il capo della CIA, Robert Burns, in qualità di persona informata sul caso Assange. Lo scorso 15 aprile, Burns ha depositato una richiesta di esonero, asserendo che la sua testimonianza potrebbe nuocere alla “sicurezza nazionale”. Il giudice deve ancora pronunciarsi in merito.

Sefania Maurizi e Julian Assannge a Londra nel 2021. Courtesy Stefania Maurizi.

Infine, a Londra, la coraggiosa e perseverante giornalista investigativa italiana, Stefania Maurizi, continua la sua battaglia per avere copie dei documenti scambiati tra il Regno Unito, la Svezia e gli Stati Uniti riguardanti ciò che si profila come montatura compiuta a sua tempo contro Assange, ovvero l’accusa di aver commesso un (inesistente) stupro in Svezia. La montatura, se sarà verificata come tale, risale agli anni 2010 – 2019 e mirava ad obbligare Assange ad andare dal Regno Unito, dove risiedeva, in Svezia per testimoniare davanti ai giudici dell’indagine preliminare. Una volta nel paese nordico, poi, Assange avrebbe potuto essere estradato negli Stati Uniti quasi senza formalità (ci sono accordi al riguardo tra i due paesi, mentre in UK, invece, il procedimento di estradizione è lungo ed incerto). Una volta estradato negli USA, Assange sarebbe stato processato e quasi sicuramente incarcerato per decenni, come punizione per aver rivelato i crimini di guerra commessi dagli USA in Iraq e in Afghanistan. Fiutando la trappola, Assange non ha mai voluto recarsi in Svezia e invece ha offerto alla Magistratura svedese di fornire la sua testimonianza tramite teleconferenza o rogatoria (procedimenti previsti). Ma il procuratore svedese, Marianne Ny, ha ripetutamente rifiutato l’offerta insistendo sull’estradizione. Quando finalmente il Regno Unito stava per eseguirla, Assange ha chiesto ed ottenuto asilo politico presso l’Ambasciata ecuadoriana, asilo durato ben sette anni.

Maurizi, sospettando la possibile commissione di illeciti nel diniego della richiesta di rogatoria o di udienza telematica, ha chiesto – sin dal 2015 – di avere copie di tutti i documenti scambiati tra il Regno Unito, la Svezia e gli Stati Uniti sul caso Assange. Se c’è stato un complotto internazionale, ci saranno sicuramente tracce nelle carte scambiate tra i Ministeri di Giustizia di questi tre paesi. Maurizi ha potuto fare questa sua richiesta invocando il FOIA, ovvero il Freedom of Information Act, legge britannica del 2000 che tutela la libertà d'informazione e il diritto di accesso agli atti amministrativi. (In Italia un dispositivo simile esiste come decreto legislativo sin dal 2016.)

La prima scoperta di Maurizi l’ha lasciato allibita: le autorità svedesi avevano distrutto una parte rilevante dei documenti relativi all’inchiesta su Julian Assange per stupro, in particolare un’email ricevuta dall’FBI nel marzo 2017. Poi, nel 2018, la seconda scoperta, altrettanto scioccante: la Procura britannica (Crown Prosecution Service o CPS) ha fatto la stessa cosa a riguardo della propria corrispondenza con la Svezia e gli Stati Uniti sul caso Assange: cancellata. Cosa stava succedendo? Poteva essere lecito tutto ciò? Non esistevano altri documenti, non ancora consegnati, negli archivi elettronici del CPS o conservati in altra sede, si chiedeva l’intrepida autrice del libro su Assange e WikiLeaks, Il potere segreto, (ed. Chiarelettere, 2021)?

“L’indagine [preliminare per stupro] è stata archiviata una volta per tutte senza che Assange sia mai stato accusato!” ha esclamato Maurizi in una intervista del 2022. E ora dicono che non rimane neanche una traccia di tutto ciò. Eppure questa persecuzione giudiziaria, “per quasi un decennio, lo ha privato dell'empatia dell'opinione pubblica”, bombardata dalle false accuse diffuse dai media mainstream. Questa persecuzione giudiziaria lo ha anche privato di sette anni di vita, recluso com’era nell’Ambasciata ecuadoriana per evitare l’estradizione.

Poi la svolta. Tre giorni fai, il 24 settembre, in una udienza sovraffollata presso il Tribunale per la libertà degli accessi alla Field House di London (dove la corte ha dovuto aprire una seconda aula per contenere tutti i sostenitori di Assange), Maurizi ha fatto breccia nell’omertà delle istituzioni britanniche. Accogliendo la sua richiesta FOIA, il Tribunale ha sottoposto ad un interrogatorio Deborah Hillary, l’incaricata degli archivi del CPS, per scoprire alla fine che, sì, esistevano copie cartacee delle email fatte sparire dagli archivi elettronici. Il Tribunale emetterà prossimamente la sua sentenza che ci si augura sia quella di ordinare la consegna, alla giornalista italiana, di copie delle email.

Così Maurizi potrà finalmente andare alla caccia di indizi di possibili illeciti commessi nella persecuzione giudiziaria di Julian Assange per un crimine da lui mai commesso. Ma già la vittoria ieri presso la magistratura britannica, ovvero l’ammissione dell’esistenza di copie delle email che erano state fatte sparire, sarà stata sufficiente per dare uno scossone ai poteri forti che cercano di piegare le leggi alla loro volontà. La democrazia, dicono i francesi, è proprio il contrario delle batterie: si esaurisce quando NON viene utilizzata. Stefania Maurizi, con la sua grintosa caccia ai soprusi dei poteri forti, sta facendo funzionare la nostra democrazia, irrobustendola. Ringraziamola.

E ringraziamo anche i querelanti statunitensi e i parlamentari europei e che intendono, dal canto loro, fare luce sugli illeciti commessi nella persecuzione politica e giudiziaria di Julian Assange.

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