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“non confondere i fatti con i messaggi”

The Israel Project’s 2009 GLOBAL LANGUAGE DICTIONARY: un manuale ad uso della macchina propagandistica israeliana durante le operazioni militari

Bisogna mostrare grande empatia verso i palestinesi, mostrarsi lacrimosi quando si vedono i corpi massacrati dalle bombe e dai proiettili, ma essere aggressivi quando si viene accusati di uccidere deliberatamente donne e bambini innocenti
5 agosto 2014

Gaza

"I civili innocenti non sono un bersaglio per Israele, ma quando un ospedale o una scuola sono utilizzati come deposito di armi o come quartier generale militare [di Hamas], allora diventano un obiettivo legittimo secondo le leggi internazionali di guerra”.

Queste parole come altre “siamo in una situazione in cui dobbiamo difendere la nostra gente, le vittime civili sono una tragedia e più civili di Gaza vengono uccisi, maggiore è il nostro fallimento”, sono state dette dall’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Ron Dermer (chiamato anche “il cervello di Bibi” perché vicinissimo al premier israeliano) davanti ai giornalisti durante il "Monitor Breakfast" tenuto dal Christian Science Monitor. L’ambasciatore israeliano ha parlato del conflitto tra Israele e Palestina e della campagna militare israeliana a Gaza affermando che Hamas è impegnato in un genocidio del popolo israeliano, e che sta usando scudi umani per creare una pressione internazionale su Israele. http://www.csmonitor.com/USA/Politics/monitor_breakfast/2014/0722/Hamas-s-use-of-human-shields-is-to-blame-for-Gaza-toll-Israeli-envoy-says-video

Così come per l’operazione militare denominata “Piombo fuso”, Israele mostra di aver bisogno di legittimare l’ennesima guerra contro il popolo palestinese appellandosi al diritto di legittima difesa sancito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, e deve raccontare il conflitto come necessario e proporzionato rispetto ad un attacco subito.
Allora qual è il modo migliore per manipolare l’opinione pubblica americana ed europea avendo già il sostegno di Washington e dei media internazionali?
Ci ha pensato Frank Luntz, un sondaggista repubblicano esperto in comunicazione strategica, che ha fondato una società specializzata nella creazione di messaggi e immagini per clienti commerciali e politici. http://www.luntzglobal.com/

Nel Manuale “The Israel Project’s 2009 GLOBAL LANGUAGE DICTIONARY”
http://www.stopdebezetting.com/documents/pdf/090713Hasbara%20handboek_tip_report.pdf si insegna a nascondere i fatti, “non confondere i fatti con i messaggi”,e si consiglia ai portavoce israeliani (Ron Dermer è stato un suo assistente) che occorre selezionarli e presentarli nel modo migliore. Per esempio bisogna demonizzare Hamas ma contemporaneamente sottolineare la vicinanza con le sofferenze dei palestinesi “Verrà il giorno in cui i bambini israeliani e quelli palestinesi cresceranno insieme, giocheranno insieme e lavoreranno insieme, non perché devono, ma perché vogliono”. E bisogna mostrare grande empatia verso i palestinesi, mostrarsi lacrimosi quando si vedono i corpi massacrati dalle bombe e dai proiettili, ma essere aggressivi quando si viene accusati di uccidere deliberatamente donne e bambini innocenti.
Ci sono sempre parole giuste per ogni momento per cui il desiderio di pace va sempre sottolineato, ma ad ogni pressione pubblica che chiede di arrivare alla pace bisogna sostenere che è necessario fare un passo alla volta, applicare un approccio dettato dal buon senso.
Ogni risposta deve essere adeguata al tipo di pubblico a cui ci si rivolge: agli americani che sono sensibili al fatto che gli israeliani devono poter difendere i propri confini, ma che sanno poco di quali siano, bisogna evitare di parlare di ciò che è accaduto nel 1967 per non ricordare la storia militare di Israele (Vedere “Obama: Frainteso sui confini del 1967 di Israele” http://www.unita.it/mondo/obama-frainteso-sui-confini-del-1967-di-israele-1.296040 ). Più difficile è la domanda riguardante il diritto al ritorno dei rifugiati palestinese espulsi o in fuga nel 1948, in questo caso uno dei suggerimenti è rispondere che il diritto al ritorno potrebbe divenire parte di una soluzione definitiva, in un possibile futuro.

Così quando Benjamin Netanyahu afferma “è tempo per qualcuno di chiedere ad Hamas: che cosa stai facendo per portare prosperità al tuo popolo?” deve essere taciuto l’assedio economico israeliano che dura da anni e che ha ridotto Gaza alla povertà e alla miseria. Da sottolineare che questo studio è stato commissionato cinque anni fa dal gruppo “Il Progetto Israele” che ha uffici in America e in Israele. http://www.theisraelproject.org/

Quanto sia importante l’informazione in guerra viene sottolineato da Al Jazeera che ha pubblicato il servizio “Gaza e Israele: guerra degli hashtags. Come l'accesso immediato alle immagini e alle informazioni on-line contribuisce a modellare la reazione globale alla guerra Israele-Gaza”. http://www.aljazeera.com/programmes/insidestory/2014/07/who-winning-social-media-war-over-gaza-2014722172425666235.html
Quando il conflitto tra Israele e Hamas si intensifica, si intensifica anche la battaglia condotta online. Per generazioni la propaganda ha viaggiato insieme alla guerra, ma ora i conflitti sono esaminati accuratamente dai social media. La guerra dell’informazione è condotta on-line dai giornalisti, dagli individui e dalle macchine multimediali israeliane e di Hamas.
L'hashtag # #GazaUnderAttack è stato twittato 4 milioni di volte rispetto ai quasi 200.000 per #IsraelUnderFire. Ma è possibile determinare chi sta vincendo questa battaglia cyber per ottenere il sostegno pubblico?

“La guerra degli inganni” è un articolo scritto dal giornalista israeliano Gideon Levy sul quotidiano Ha’aretz .
È cominciata come una guerra premeditata: avrebbe potuto essere evitata se negli ultimi mesi Israele avesse adottato una politica diversa. Si è evoluta in una guerra inutile. È già abbastanza ovvio che non porterà alcun risultato a lungo termine. È ancora possibile che degeneri in un disastro, e alla fine risulterà essere stata la guerra degli inganni: Israele si è ingannato fino a rovinarsi.
Il primo inganno è la pretesa che non ci fosse alternativa. Certo, quando i razzi hanno cominciato a piovere su Israele non c’era più alternativa. Ma che dire dei passi che ci hanno portato a questo? Sono passi per i quali esistevano altre opzioni. Non è difficile immaginare cosa sarebbe successo se Israele non avesse interrotto i negoziati di pace, se non avesse lanciato una guerra totale contro Hamas all’indomani dell’omicidio dei tre ragazzi israeliani, se non avesse bloccato il trasferimento dei fondi destinati al pagamento dei salari pubblici nella Striscia di Gaza, se non si fosse opposto al governo di unità nazionale palestinese e se avesse allentato l’embargo alla Striscia di Gaza.
I razzi Qassam sono stati una risposta alle scelte di Israele. In seguito gli obiettivi sono cresciuti a valanga, come avviene sempre in guerra: da fermare i razzi a trovare e distruggere i tunnel alla demilitarizzazione di Gaza. La valanga potrebbe continuare all’infinito. “Risponderemo alla pace con la pace”. Ricordate? Il 25 luglio Israele ha rifiutato la proposta di cessate il fuoco del segretario di stato statunitense John Kerry.
Il secondo inganno è che l’occupazione della Striscia di Gaza è finita. Pensate a un’enclave sotto assedio, i cui abitanti sono prigionieri, gran parte dei cui affari sono controllati da un altro stato che gestisce l’anagrafe e l’economia, proibisce le esportazioni, limita la pesca, controlla i suoi cieli e ogni tanto invade il suo territorio. Non è occupazione questa?
Il terzo inganno è l’affermazione che l’esercito israeliano “fa tutto quello che può” per evitare di uccidere civili. Siamo già oltre il migliaio di morti, tra cui una maggioranza civili e un numero impressionante di bambini. Interi quartieri sono stati rasi al suolo e 150mila profughi non hanno un posto sicuro dove andare. Questo rende tale affermazione nient’altro che uno scherzo di cattivo gusto.
Anche la convinzione che il mondo sostenga la guerra e riconosca la sua giustezza è un inganno israeliano. Se è vero che i politici occidentali continuano a ripetere che Israele ha il diritto di difendersi, i morti che continuano ad accatastarsi e la disperazione dei rifugiati stanno irritando il mondo e generando odio contro Israele. Alla fine anche gli statisti che sostengono Israele gli volteranno le spalle.
Un altro inganno è quello secondo cui questa guerra ha dimostrato che “il popolo d’Israele” è “una nazione meravigliosa”. Era da tempo che non si assisteva a una campagna così mendace, manipolatoria, melensa e autocompiaciuta. La nazione si è mobilitata per sostenere i soldati, e questo è commovente. Ma oltre ai camion carichi di dolciumi e biancheria, alle migliaia di israeliani che hanno partecipato ai funerali dei soldati le cui famiglie vivono all’estero e all’ansia per i feriti, questa guerra ha messo in evidenza anche comportamenti ben più odiosi.
Quel “comitato di sostegno ai soldati” che è Israele ha dimostrato tutta la sua indifferenza verso le sofferenze dell’altra parte. Non un briciolo di compassione, non un barlume di umanità, nessuno stupore, nessuna empatia per il suo dolore. Le orribili immagini di Gaza provocano reazioni che vanno dallo sbadiglio alla gioia. Un popolo che si comporta così non merita le lodi che si riversa addosso. Quando la gente di Gaza muore e la gente di Tel Aviv fa come se niente fosse non c’è niente da festeggiare.
E non c’è niente da festeggiare neanche nella campagna di aggressione contro i pochi che si oppongono alla guerra. Dal governo e dal parlamento alle strade e ai commenti su internet, tira una brutta aria. Solo i cittadini obbedienti sono ammessi. “Unità israeliana”? “La nazione è una grande famiglia”? Non scherziamo. Anche i mezzi d’informazione israeliani in tempo di guerra sono una barzelletta, una rete di propaganda i cui membri si sono autoarruolati per lodare ed esaltare, incitare e punire, e chiudere gli occhi.
Ma la più grande delle barzellette, la madre di tutti gli inganni è la fiducia nella giustezza del proprio agire. Lo slogan della “guerra giusta” è ripetuto fino alla nausea, fino a far sospettare che anche quelli che lo gridano più forte abbiano dei dubbi, altrimenti non griderebbero così forte e non se la prenderebbero tanto con chi cerca di esprimere un’opinione differente. Dopo tutto, come si può giustificare una guerra evitabile? E come ci si può ammantare di giustizia di fronte alle orribili immagini di Gaza?
Forse la terra brucia anche sotto i piedi di questo coro di apologeti della guerra. Forse anche loro si rendono conto che quando la battaglia finirà il quadro diverrà chiaro. È sempre così nelle guerre d’inganno, ed è così che finirà anche la guerra del 2014.

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