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"La tensione, il sentire dei Verdi o sono universali o non sono"

11 tesi sui Verdi

19 marzo 2005
Gianfranco Bettin

1 I Verdi sono una forza presente in tutto il pianeta. Dunque, niente affatto "no global" (esattamente come non lo è il movimento così etichettato). La tensione, il sentire dei Verdi o sono universali o non sono.

2 I Verdi non possono che essere una forza democratica, naturalmente, e in quanto tali difendere la libertà ovunque e ovunque contrastare ogni forma di autoritarismo, di svilimento dei diritti, di riduzione della partecipazione e della democrazia. Per questo, i Verdi contrastano la sottrazione di sovranità ai cittadini e ai popoli che si accompagna alla globalizzazione neoliberista e alla rete di poteri intrecciati e senza controllo che ne orienta le forme e gli obiettivi e tende a costituire un potere globale di nuovo tipo, l'impero del terzo millennio. Un potere che supera i nazionalismi, i vecchi colonialismi e l'imperialismo tradizionale stesso, e che svuota progressivamente le strutture della partecipazione democratica, della sovranità nazionale e delle stesse istituzioni sovranazionali prodotte dai tentativi di universalizzare la cooperazione e la democrazia compiuti durante il Novecento. Wto, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale sono alcune fra le principali strutture di potere di nuovo tipo, alle quali si accompagnano in particolare le reti tecnologico-scientifiche e quelle militari. Questo potere assomma la potenza gerarchizzante e l'autoritarismo più strutturato e pesante con una "microfisica" di tipo "biopolitico" che lo rende anche onnipervasivo e orizzontale e che dunque fa coincidere la vita stessa con la forma del dominio e fa della propria mappa, come nella metafora di Borges, la mappa stessa del mondo.

3 Verdi, dunque, si devono impegnare sul piano internazionale per riformare e potenziare ogni organismo di responsabilità condivisa, a cominciare dall'Onu, e per contrastare l'invadenza e la prepotenza dei nuovi poteri e dei loro micidiali strumenti. Per contrastare, oggi, di fronte a rischi incalcolabili il linguaggio e la pratica della guerra, contro la quale devono rilanciare la necessità di organismi di ingerenza umanitaria guidati e garantiti dalla comunità internazionale (e da un'Onu davvero riformata in primo luogo). La guerra contro l'Afghanistan dei Talebani - e quella minacciata da Bush su scala generale contro l'"asse del male" - non è che l'ultima di una serie volta a tradurre i conflitti più difficili in contrapposizioni di tipo militare, tendenzialmente totali, e con un contenuto di ridefinizione dei rapporti di forza e di occupazione di territori (come dopo la guerra del Golfo o dopo le guerre balcaniche) che diventa sempre più centrale e che, a sua volta, alimenta le tensioni e acuisce le contraddizioni. Dire no alla guerra, oggi, non significa solo dire no a qualcosa che, sempre, va ripudiato come "strumento di risoluzione delle controversie", ma anche opporsi allo strumento principale di costruzione di un nuovo ordine ingiusto, scolpito dai processi di globalizzazione e dall'espansione incontrastata del modello neoliberista. No War è la naturale conseguenza di No Nike, No Logo e di tutti i No, grazie già detti a suo tempo (e che andrebbero ripetuti di fronte a compromessi troppo vili) e che oggi - nella chiave biopolitica - sono il volto dissenziente, l'altra faccia di scelte positive che per definirsi davvero alternative non possono non investire gli stili di vita, i consumi, i valori eccetera oltre che le scelte specificamente politiche.

4 I Verdi devono farsi consapevoli che non basta proclamarsi difensori del pianeta per essere davvero utili a questa causa, la più "globale" fra tutte e, contemporaneamente, la più "locale" possibile, la più vicina a ogni singolo essere e al suo particolare ambiente di vita. Devono essere anche consapevoli che una scienza, una cultura e una morale nuove, all'altezza delle sfide cruciali dell'epoca, non possono prescindere dai tentativi che, nel corso del tempo, hanno espresso la ricerca di un mondo migliore. Occorre quindi studiare, assimilare queste ricerche, questi pensieri e queste esperienze. Il pensiero di minoranze critiche, libertarie, anarchiche, marxiste eretiche, dentro percorsi alternativi, può essere davvero fecondo e, intrecciandosi alle esperienze concrete di questi anni e alle riflessioni teoriche e alla produzione culturale sviluppate, aprire percorsi nuovi per andare oltre.

5 I Verdi si devono dunque collocare nella scia delle grandi correnti di liberazione dall'oppressione, dallo sfruttamento, dalla povertà, dal bisogno e nel solco delle lotte allo spreco di risorse, all'avvelenamento e allo squilibrio dell'ecosistema. In questo senso, guardano oltre le esperienze socialdemocratiche e comuniste e oltre quelle liberaldemocratiche.

6 Nei sistemi liberaldemocratici e soprattutto in quelli politicamente bipolari, i Verdi si collocano a sinistra negli schieramenti politici. Questo non significa però riconoscersi nella tradizione socialdemocratica o comunista. Significa portare su questo versante dello schieramento politico la ricerca di alleanze per raggiungere determinati obiettivi (su singole questioni, in competizioni elettorali, in coalizioni per il governo locale o nazionale), consapevoli tuttavia delle distinzioni e, a volte, del conflitto tra gli interessi tutelati e quelli rappresentati dall'altra sinistra, e tra le rispettive culture (ad esempio, del conflitto tra ambientalismo e "lavorismo" se non industrialismo·).

7 I Verdi italiani, perciò, ragionando nei rozzi termini di schieramento, si collocano oltre i Ds - e in certo senso anche oltre i Verdi come sono stati finora - sulla sinistra dello schieramento di centrosinistra, al quale partecipano consapevoli che questa coalizione è ancora impari - culturalmente e politicamente - rispetto ai problemi da affrontare. Una coalizione che ha perduto le elezioni politiche anche per la scarsa capacità di aggregare forze sociali che le trasformazioni in corso rendono inquiete, critiche, sofferenti, insofferenti. Nessuno nell'Ulivo ha saputo rappresentarle, e la stessa Rifondazione comunista non ha potuto colmare questo vuoto, come i suoi stessi risultati elettorali dimostrano.

8 C'è uno spazio grande, oggi, nella società italiana e in tutto il pianeta, per una politica di critica radicale al sistema, e agli attuali processi di globalizzazione. C'è spazio per una forza di sinistra, di una sinistra rivisitata proprio alla luce dell'esperienza ambientalista e di tutte le soggettività che hanno percorso sentieri nuovi in ogni parte del mondo, mosse da bisogni specifici o dalla ricerca di spazi, identità, dignità irrinunciabili, dalla "solitudine del cittadino globale" come dal rifiuto della "monocultura della mente", dalla ripulsa per tutto ciò che riduce il mondo e la vita a merce e dalla speranza, dal sogno, dalla convinzione che un altro mondo sia possibile. E che, naturalmente, questo mondo sia criticabile e contestabile, che di fronte a esso ci si debba ribellare, che le forme di questa ribellione debbano riscoprire i mille volti della disobbedienza civile, dell'azione diretta, tanto più in un contesto che spesso rende impossibile ottenere risultati sul piano istituzionale. E soprattutto con un governo come quello formato da Berlusconi, un incrocio tra una barzelletta e un incubo, in sintonia sul piano internazionale con le destre di nuovo tipo, alla Bush o alla Sharon, destre spregiudicate, aggressive, decise a forzare la stessa legalità piegandola ai propri interessi (e con la totale riabilitazione del mondo di Tangentopoli e l'attacco frontale a chi ha combattuto la corruzione e le mafie), destre incuranti di ogni vincolo, che tornano a considerare l'ambiente una variabile dipendente, i poveri e la fame un "inconveniente" (come incredibilmente si è espresso Berlusconi a Genova), che tornano a usare correntemente e irresponsabilmente il linguaggio della guerra (perfino della guerra nucleare!). Una destra da brividi, di fronte alla quale, davvero, disobbedire è giusto.

9 I Verdi possono essere la forza non socialdemocratica e non comunista, ma in irriducibile opposizione al neoliberismo, che oggi non c'è, e che può esprimere questa "disobbedienza" e darle forma politica e rappresentanza nel nuovo secolo. Una forza radicale, per niente "estrema" ma certo di frontiera, capace infine, sentendone il bisogno, di favorire la nascita di un soggetto nuovo, più grande. Un soggetto vera sintesi del meglio di tutte le esperienze di cambiamento che hanno segnato questi anni e che non hanno ancora trovato modo di unirsi veramente e di rappresentare adeguatamente le attese, le speranze e l'impegno di tante realtà locali e no, istituzionali e no.

10 In questo senso, nessuna collocazione rigida in una coalizione è possibile. Perciò, pur nella costante ricerca di alleanze sul piano locale e sul piano nazionale, i Verdi devono recuperare la propria piena autonomia, andando oltre la coalizione dell'Ulivo verso nuove possibili aggregazioni. Solo così potranno agire sulla "frontiera" in cui devono stare, contribuendo ad allargare la stessa base sociale, politica ed elettorale delle coalizioni cui aderiscono, ponendosi come riferimento credibile per un gran numero di gruppi, associazioni, circoli, sindacati, persone singole con gli stessi obiettivi e il medesimo sentire.

11 I Verdi devono perciò aprire una nuova fase della propria vita, riscrivere la propria carta costitutiva e soprattutto, seguendo il percorso disegnato da un "caracol", uscire da se stessi cercando di porsi come interlocutori di una vastissima area sociale, culturale e politica di cui possono diventare un punto di riferimento ma dalla quale hanno comunque molto da imparare sul piano della pratica sociale. Laddove è accaduto, sono già stati possibili risultati importanti, riscoprendo il senso stesso di una presenza locale, del radicamento territoriale (in una prospettiva che, sul piano culturale e politico-istituzionale, è radicalmente federalista e municipalista ma che, agendo localmente non ha ovviamente smesso di pensare - e ha cercato di agire - globalmente, come si dice). C'è una nuova tensione politica, nella società, c'è un nuovo vasto sentire, come Genova ha dimostrato e come hanno confermato le fasi successive del "movimento di movimenti", ma non solo di esso. Per dialogarvi, per esserne parte, per sostenerne le ragioni, i Verdi devono stare nella società e nei movimenti che produce, come è accaduto a Genova (senza bandierine e senza cappelli da mettergli in testa: con rispetto e con "simpatia"). Come accade in tante esperienze locali. Il movimento che va da Seattle a Genova e che, in condizioni difficilissime, ha saputo andare oltre, anche dopo l'11 settembre e la guerra, fino a Porto Alegre (e ritorno) è la novità politica fondamentale di questi anni, e migliaia di militanti e aderenti o "affini" verdi (o "già verdi", prima delle derive politiciste e delle grigie depressioni dei tardi anni novanta) lo hanno intuito e riconosciuto subito.

 

Note: Gianfranco Bettin, veneziano, ha lavorato a lungo nel campo della ricerca e degli studi politico- sociali. Scrive su alcuni quotidiani e riviste. Tra i fondatori dei Verdi italiani, attualmente è prosindaco del comune di Venezia. Narratore e saggista. I suoi romanzi sono: Qualcosa che brucia (Garzanti, 1989, nuove edizioni Baldini e Castoldi 1995 e 2003), Sarajevo Maybe (Feltrinelli 1994), Nemmeno il destino (Feltrinelli 1996, nuova edizione 2004), da cui è stato tratto il film omonimo di Daniele Gaglianone prossimamente sugli schermi, Nebulosa del Boomerang (Feltrinelli 2004). Alcuni suoi racconti sono presenti in antologie: "Fantasia" in Sconfinare (Fernandel edizioni, 1999), "Novi Ligure 21 febbraio" in Storie d’amore (l’ancora del mediterraneo, 2003), "Pozo Colorado" in Patrie impure (a cura di Benedetta Centovalli, Rizzoli, 2003), Senti l’estate che torna in Smemoranda 2004. I suoi libri di taglio saggistico sono: Dove volano i leoni. Fine secolo a Venezia ( Garzanti, 1991), L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero (Feltrinelli 1992), Petrolkimiko. Le voci e le storie di un crimine di pace (Baldini e Castoldi, 1998), La strage. Piazza Fontana, verità e memoria (con Maurizio Dianese, Feltrinelli, 1999), Duemilauno. Politica e futuro (con Massimo Cacciari, Feltrinelli, 2001), Petrolkiller (con Maurizio Dianese, Feltrinelli, 2002), Il clima è uscito dai gangheri (nottetempo, 2004).

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