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Riuscirà il “Protocollo di Kyoto” a impedire il “Global Superstorm”?

Un climatologo di fama internazionale anticipa un’ipotesi drammatica: l’evento di una super tempesta globale, che si svilupperà a breve. Colpa dell’effetto serra e il conseguente innalzamento delle temperature, lo scioglimento dei poli e le irreversibili alterazioni delle correnti oceaniche. Verosimilmente il nord del pianeta sarà riportato all’era delle glaciazioni. Tralasciando la paccottiglia oleografica in stile hollywoodiano, assistiamo a gigantesche ondate oceaniche che sommergono le città del Nord America, grandine smisurata come palle da baseball a Tokio e tempeste di neve a Nuova Delhi.
6 maggio 2005
Liliana Adamo (l.adamo@reporterassociati.org  )

Il presidente degli Stati Uniti, che da sempre ha negato la sussistenza di una possibile “tempesta globale”, parla ai cittadini americani in fuga verso il Messico, da un “campo base”, considerato fino a quel momento da “terzo mondo”. Una situazione goffamente capovolta, un presunto “reversal of fortune”, che vede il popolo più progredito (ed inquinante), invocare il sud del mondo, d’aprire le proprie frontiere.

Intanto, lungo il fiume Hudson, in quella che era la capitale immaginifica del carisma e del profitto, sopraggiunge una reazione di calura insopportabile seguita da un improvviso gelo polare e la macchina da presa si sofferma all’epilogo dei sentimenti: il figlio del famoso climatologo, la sua ragazza e il loro cane, si mettono in salvo riparando nell’antica, nobile biblioteca pubblica in una New York siderale, tra blizzards imponenti quanto i grattacieli, sperando in un possibile intervento in extremis.

Questa, in sintesi, la trama di un film di Hammerich, “L’alba del giorno dopo”(The day after tomorrow), ispirato a “The Coming Global Superstorm” dissertazione romanzata di due autori, Whitley Sytreiber e Art Bell, su possibili effetti catastrofici del global warming in tutta l’eccedenza meteorologica che, in minor misura, abbiamo sperimentato negli ultimi anni. Fantascienza? Forse. Tuttavia è innegabile l’eccezionalità delle catastrofi registrate nell’ultimo decennio sull’intero pianeta, dovute, in gran parte, alle mutazioni climatiche.

Che cosa innesca il global warming?

Una concentrazione micidiale di veleni immessi nell’atmosfera scatenerebbe spaventose repliche a catena, disorientando l’equilibrio climatico sul nostro pianeta. Questo è il referto secondo la maggior parte dei climatologi, altresì, una variabile attribuita a cause naturali, secondo altri pareri. Quali sono gli impulsi, insiti in un processo naturale, non è dato a sapersi; il mondo s’interroga sul clima impazzito e gli specialisti ancora riflettono intorno alle fenomenologie, sugli effetti a breve e lungo termine. Sviluppato dalla combustione dei gas liquidi derivati dal petrolio e da combustibili fossili come il carbone, il C02 è il più dannoso dei gas-serra e massimamente incriminato.

Negli ultimi due anni (secondo le previsioni scientifiche acquisite all’Università di California), si è appurato che, in atmosfera, c’è un’insolita concentrazione di C02, più elevata del previsto. I dati sono stati resi noti in Inghilterra, divulgati dai canali televisivi, pubblicati in prima pagina dai quotidiani The Guardian e The Indipendent. L’aumento di biossido di carbonio è sostenuto da un altrettanto surriscaldamento “in picchiata”. Appare chiaro che tra l’automatismo propulsore della nostra civiltà, le sue scorie “climalteranti” (biossido di carbonio, protossido d’azoto, clorofluorocarburi, perfluorocarburi, ozono troposferico, aerosol…) e gli ecosistemi governati dal ciclo naturale, è in atto uno scontro che può eguagliare l’epica lotta dei Titani; al contrario, i sistemi economici e politici della società occidentale, capitanate dai suoi attori, fanno finta di non vedere.

CO2 e l’effetto “feedback”

Da un osservatorio posto a 3.350 metri d’altezza, in cima al vulcano hawaiano Mauna Loa, Charles Keeling, fisico statunitense presso l’Università di California a San Diego, rese pubbliche le valutazioni quantitative del biossido di carbonio nell’atmosfera. Il calcolo riportava una concentrazione di 376 ppm, nel 1958 le stesse valutazioni hanno ricavato 315 particelle per milione (ppm), deducendo quindi, che il ritmo del livello di biossido di carbonio è passato da 1,6 ppm, nei primi decenni, a 2,98 nel 2001 e 2002 e a 2,54, nel 2002 e 2003.

L’aumento di biossido di carbonio non è prodotto da un effettivo incremento delle emissioni, né tanto meno da “fenomeni naturali”. Tali concentrazioni sono state valutate dagli scienziati inglesi del Centro Hadley di previsione e ricerca climatica, “precoci e troppo scarse” per lanciare un potenziale allarme, ma, in pieno accordo, tutti affermano, se non altro, la persistenza dei gas serra come antitesi alla dispersione del calore, ecco perché, sostanze tossiche e vapore si disporrebbero intorno al globo, senza possibilità di trovare uno sbocco. Attraverso le sue misurazioni, il “grande vecchio” del C02, Charles Keeling, tuttora responsabile del progetto e delle sue prospettive, ha dimostrato che i 315 ppm, dopo 45 anni d’emissioni, sono saliti a 376 ppm.

In parole povere, cosa vuol dire?

Prima di tutto che il cosiddetto “effetto serra” è aumentato in modo pressoché inaspettato, livelli più elevati di C02 trattengono sempre più calore solare nell’atmosfera e non c’è motivazione che giustifichi un tale comportamento, perché non esiste una corrispondente crescita delle emissioni terrestri di tale portata, allora, come si spiega? Alcuni studiosi sospettano che potrebbe trattarsi del paventato automatismo del “feedback”, una reazione a catena: il global warming ha svincolato alterazioni irreversibili sugli ecosistemi, i quali, da soli, determinerebbero, per accumulo, un rapido incremento del surriscaldamento sull’intero pianeta.

Questo aspetto del problema era stato rimarcato da modelli elaborati sul mutamento climatico e previsti come un nuovo peggioramento di una situazione già in atto; dunque, tutto potrebbe accadere molto prima del previsto, senza più il tempo per coordinare una risposta, una tentata correzione, una messa a punto.

Quanto sarà difficile per la terra eliminare questi enormi accumuli d’anidride carbonica?

L’assorbimento di C02 nelle foreste, negli oceani, all’interno del “ciclo del carbonio” (carbon-sinks), indebolirà fortemente il loro processo d’auto-rigenerazione. Gli stessi scienziati avevano previsto che ciò sarebbe accaduto, ma tra molte decine d’anni. Uno sviluppo precipitoso del global warming provocato dal fenomeno del feedback, vuol dire aumenti impensabili dei livelli oceanici, violente perturbazioni, disgregazione dei ghiacciai, siccità, in meno tempo del previsto. Ciò che il professor Keeling ritiene inquietante è l’incremento nel ritmo di crescita; abbiamo visto che in 46 anni di misurazioni, l’aumento medio dei livelli di C02 si era attestato intorno ai 1,3 ppm per balzare, negli ultimi dieci anni a 1,6 ppm.

I picchi più alti per quantità relativa d’anidride carbonica in atmosfera, si sono registrati nel sincronismo de El Nino, un fenomeno sorto nell’Oceano Pacifico, in prossimità dei tropici e che ha un forte ascendente sul clima Nel 1988, per l’influenza de El Nino, l’incremento annuale è salito a 2,45 ppm e nel 1998 fino a 2,74 ppm. Gli aumenti si sono mantenuti stabili per più di un anno, al momento, invece, tutto sembra “alterato”, anche se El Nino, non è ricomparso in scena. L’incremento e il ritmo di progressione del C02, sono stati confermati anche da altri partecipanti al progetto sul cambiamento climatico, come il National Oceanic and Atmospheric Administration, negli Stati Uniti e da enti scientifici in diverse parti del mondo.

Il riflesso della “Southern Oscillation”

Secondo le applicazioni sulla meteorologia, El Nino si associa ad una manifestazione d’alta e bassa pressione atmosferica, questa prerogativa è denominata “Southern Oscillation”. Per molti studiosi (compreso Charles Keeling), il “feedback”, nella massima concentrazione di C02, s’include in questa fenomenologia, o altrimenti a qualcosa di totalmente nuovo. Un riflesso della “Southern Oscillation” è in grado di risolvere il quesito; ma, nel campo delle ipotesi, possiamo supporre una “sconnessione” tra El Nino e la condizione della “Southern Oscillation”, questo, a sua volta, incrementa i livelli di C02 nell’atmosfera, oppure il punto d’inizio si cela dietro il suddetto indebolimento dei “carbon sinks” sparsi sul pianeta e così via.

L’unica certezza è data dalla palese preoccupazione d’ambientalisti e scienziati di mezzo mondo. Per i prossimi cento anni, le previsioni, gli studi effettuati, le buone intenzioni e le cattive gestioni sul problema global warming, integralmente dovranno essere rivisti, rimessi in discussione. In molti temono la catastrofe se perfino Tom Burke, ex consigliere del governo inglese sulle questioni ambientali, riferì con indubbia malinconia: ” Le nuove misurazioni dei livelli di C02 rappresentano l’orologio climatico del pianeta e sembra che esso stia andando sempre più in fretta…”

Un Protocollo fuori uso?

Gli elementi fondamentali del Protocollo di Kyoto presumono di ridurre del 5,2% le emissioni dei sei fondamentali gas serra: l’anidride carbonica, C02, è al primo posto, seguiti dal metano, CH4, dal protossido d’azoto, N20, dagli idrofluorocarburi, HFCs, dai perflourocarburi, PFCs e gli esafluoruri di zolfo, SF6. L’impegno dell’Unione Europea è fissato in una riduzione dell’8%; soltanto quello dell’Italia, per esempio, equivale al 6,5%, il Giappone ridurrà le proprie emissioni al 6%, l’Australia all’8% e così via. Elaborato nell’ambito della Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico, siglato dalle Nazioni Unite (UNFCCC) e osteggiato soprattutto dal governo degli Stati Uniti e dal presidente Bush, il Protocollo chiede ai propri firmatari d’avvalersi dei supposti “meccanismi flessibili”, in pratica di quei procedimenti settoriali, che rendono operativo lo sviluppo sostenibile, mettendo in conto anche l’obiettivo inerente al carbonio assimilato dai “carbon sinks”, foreste, colture, oceani.

Dal 2008 al 20012, ai paesi che non ottempereranno tali misure, saranno applicate severe pene pecuniarie. In cosa consistono tali misure? Per la riduzione delle emissioni inquinanti, il Protocollo si attende: “Piani d’attribuzione dei permessi d’emissione alle grandi industrie (NAP), Piani settoriali d’intervento (nei trasporti, nel settore domestico, ecc.)”.

Per i cosiddetti “Meccanismi di flessibilità”, che in parte possono essere suppletivi dall’azione statale, si alternano il “Commercio delle Emissioni (Emission Trading)” vale a dire la compravendita di licenze per il disinquinamento direttamente all’estero, il “Meccanismo dello Sviluppo Pulito (CDM)”, qualificare progetti ecologici nei paesi in via di sviluppo e l’“Attuazione Congiunta”, progetti messi in atto per quei paesi con un’economia in trasformazione, come gli stati dell’est europeo, ad esempio la Russia…Infine per i “Serbatoi di carbonio (sinks)”, si prevede l’aumento d’attività agro-forestali per ristabilire la quantità di C02 nella vegetazione e nei terreni.

Questa premessa introduce più di una perplessità, cominciamo col distinguere le buone intenzioni dai fatti: in tutti paesi, firmatari o non del Protocollo di Kyoto, le emissioni sono notevolmente aumentate rispetto al residuo del 5,2%. Nel nostro paese, per esempio, si attesterebbero intorno ad uno sviluppo del 9%. E’ di due anni fa il piano varato dal governo nel quale era previsto, nell’arco di un decennio, un aumento delle emissioni d’anidride carbonica in molti settori industriali, pari al 22,8% ed inoltre, secondo associazioni ambientaliste come il Wwf e Greenpeace, l’Italia importa legno illegale dalle foreste amazzoniche, contribuendo ampiamente alla deforestazione, altro che buoni propositi per il ripristino dei “carbon sinks” intorno al mondo!

Le incognite più pesanti sono da addossare anche a quei paesi che non hanno approvato il Protocollo; certo, la tendenza confermerebbe un diverso atteggiamento per il futuro, ma basta frammentare un’intesa di tale importanza per ricondurre tutti al punto di partenza? Ci sono i grandi paesi del terzo mondo, come l’India, che si avvarrà di uno sviluppo enorme e senza regole, la Cina, che regge i fili dell’economia internazionale ma perdura nei suoi mancati confronti con l’Occidente e gli USA, responsabili del 25% per le emissioni mondiali di C02.

Il valore aggiunto

Tuttavia, se i buoni propositi del Protocollo di Kyoto, procedessero ad una veloce e consistente attuazione, al resto del mondo non rimarrebbe che adeguarsi, adottando i modelli applicati alle conoscenze tecnologiche e le scelte riguardanti il sistema economico. Sappiamo bene che le controparti operano in primo luogo negli apparati finanziari, sponsorizzati dalle industrie di carbone a quelle chimiche, automobilistiche o aeronautiche, preoccupati per il danno apportato ai propri utili. Secondo gli analisti, invece, l’impatto economico del Protocollo di Kyoto metterebbe in serbo più di una sorpresa.

Senza scendere in particolari specialistici potremo ribattere che tutte le misure presentate si basano su obiettivi realistici e a basso costo. I tre meccanismi del Protocollo (Attuazione Congiunta, Meccanismo di Sviluppo Pulito e Commercio delle Emissioni, oltre ai “carbon sinks”) prevedono non solo sacrifici talmente contenuti, ma, a lungo termine, fornirebbero una rinnovata azione economica per l’impiego di nuove tecnologie in molti settori imprenditoriali, incluso quello delle apparecchiature e dei macchinari; inoltre s’incoraggerebbero produzioni, servizi ed esportazioni in ogni paese, sia esso evoluto o del cosiddetto terzo mondo.

Il valore aggiunto come risultato addizionale di Kyoto, riuscirà ad allontanare l’incubo di un possibile “Global Superstorm”? Avevamo detto che si tratta di fantascienza, o no?

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