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La mappa dei mari uccisi dalla chimica

Legambiente e Wwf lanciano l'allarme, sulla base di uno studio del ministero dell'Ambiente sui sedimenti marini. La situazione più «preoccupante» in Liguria, dove è stato trovato anche Pcb. Inquinate anche alcune aree protette
21 aprile 2004
Angelo Mastrandrea


C'è un po' tutto quello che non dovrebbe esserci, nei mari italiani. Finanche in aree protette come il Parco delle cinque terre in Liguria o nella friulana Miramare. Metalli pesanti, idrocarburi, pesticidi, il temibile Pcb che è un parente stretto della diossina, e in quantità minori Ddt. Tutti in quantità di molto superiori ai limiti di legge, soprattutto nei sedimenti costieri, il che spiegherebbe in parte la contraddizione con i mancati divieti di balneazione o addirittura le «bandiere blu» che segnalano la particolare pulizia delle acque. I dati, forniti dal programma di monitoraggio dell'ambiente marino costiero del ministero dell'Ambiente ed elaborati da Legambiente e Wwf, sono impietosi, e a guardarli bene spesso non rappresentano altro che una conferma di quanto tante volte denunciato dagli ambientalisti. Per esempio, scrivono le due associazioni, «il fatto di trovare elevatissime concentrazioni di cromo nei sedimenti prelevati in alcune stazioni dell'area ligure dove per decenni la Stoppani di Cogoleto ha sversato i reflui industriali non ci stupisce», anche se «il fatto che alte concentrazioni di altri inquinanti si ritrovino in alcune aree di "bianco", cioè scelte come campione di controllo, è un dato che deve far riflettere. E indurre a prendere provvedimenti concreti». Dall'analisi emerge una situazione estremamente critica, con mercurio e cromo nei sedimenti marini del Friuli e del Veneto, nichel e cromo sui fondali di Liguria e Toscana, piombo in Liguria e Friuli, Ddt in Lazio e Liguria, benzopirene in Friuli, idrocarburi policiclici aromatici in Abruzzo e Friuli, mentre in Toscana e Basilicata abbonda il tributilstagno, un antivegetativo utilizzato per le imbarcazioni. Ma «il punto più preoccupante», per Legambiente e Wwf, riguarda l'alto tasso di inquinamento nelle aree marine protette, che in quanto tali dovrebbero invece brillare per limpidezza delle acque e assenza di inquinamento. Non è così. Tanto per fare qualche esempio, i sedimenti prelevati alla stazione di Portoferraio, nel Parco nazionale dell'arcipelago toscano, sono contaminati da cromo e nichel, quelli di Punta Mesco nel Parco delle cinque terre in Liguria da cromo, nichel e piombo, a Miramare in Friuli da piombo, mentre a Isola Capo Rizzuto, in Calabria, e a Punta Licosa, in Campania nel Parco del Cilento e Vallo di Diano, sono state trovate abbondanti quantità di arsenico. In generale, «seriamente preoccupante» viene definita la situazione della Liguria, dove quasi tutti i campioni prelevati sono risultati «fortemente contaminati».
Bandiera nera per la foce del torrente Lerone, dove per anni ha scaricato veleni la Stoppani di Cogoleto. L'elenco delle sostanze tossiche rilevate è impressionante: cromo, nichel, piombo, arsenico, mercurio, cadmio, Ipa, benzopirene, Ddt e addirittura Pcb, quest'ultimo in misura dieci volte superiore a quanto previsto dalla legge. Ma anche nelle acque della Campania si trova di tutto. In particolare, alla foce del Sarno, considerato il fiume più inquinato d'Europa, superano i limiti il cromo, il cadmio, il piombo e anche qui il Pcb.
Le associazioni ambientaliste chiedono «la drastica riduzione dell'immissione di sostanze chimiche in natura e un confronto con il mondo della pesca, un alleato prezioso», come spiega il segretario del Wwf Gaetano Benedetto. I metalli pesanti e le altre sostanze inquinanti sono infatti estremamente nocive proprio per la flora marina e per il patrimonio ittico. Inoltre, Wwf e Legambiente auspicano che venga rinnovata la convenzione triennale tra ministero dell'Ambiente e regioni, in modo da poter proseguire il programma di monitoraggio. «L'inquinamento marino non è solo quello che emerge dai dati sulla balneazione, che fotografano solo una parte del problema», dice il presidente di Legambiente Roberto della Seta. Dunque questo tipo di monitoraggio non va abbandonato, anzi andrebbe esteso anche al resto dell'ambiente.

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