Dire mai al MAI

Il 20 ottobre 1998 a Parigi si riunisce il gruppo di negoziatori dei 29 paesi aderenti all'OCSE per riprendere (e se possibile concludere) le trattative sull'Accordo Multilaterale sugli Investimenti (A.M.I. - in inglese M.A.I.).
7 ottobre 1998
Tiziano Tissino

Secondo i suoi fautori, questo accordo e' indispensabile per dare certezza agli investitori e favorire lo sviluppo internazionale e, d'altro canto, non farebbe che applicare in maniera omogenea su tutto il pianeta una serie di principi giuridici consolidati, come la parita' di trattamento, e garantire la stabilita' delle regole applicate agli investimenti.

Che c'e' di male in tutto questo, e perche' mai un'associazione pacifista come Peacelink dovrebbe occuparsi di un argomento che appare squisitamente 'tecnico'?

Se non ci accontentiamo delle rassicuranti prese di posizione ufficiali ma andiamo a vedere le carte, ci renderemo conto ben presto che il MAI ha una portata sconvolgente sulla vita quotidiana di gran parte dell'umanita'. Senza nessuna esagerazione, senza paura di essere accusati di retorica, possiamo dire che si tratta di un vero e proprio tentativo di 'golpe' planetario, l'affondo finale delle Multinazionali nei confronti dei governi e dei popoli.

Il MAI prevede la liberalizzazione assoluta degli investimenti (e dei disinvestimenti) in pressoche' tutti i settori economici: i governi (e i popoli) si troverebbero di fatto senza strumenti per condizionare lo strapotere di poche multinazionali, in grado di spostare i propri investimenti laddove minori sono i costi legati alla tutela sociale ed ambientale; come se non bastasse, agli investitori esteri viene riconosciuto il diritto di fare causa agli stati se un loro qualsiasi provvedimento dovesse produrre una perdita o una diminuzione degli utili attesi e il processo avverrebbe a porte chiuse davanti ad un collegio arbitrale di "esperti" selezionati dall'Unione Internazionale delle Camere di Commercio: questo significa concedere ad imprese che rispondono solo ai loro azionisti un diritto di veto rispetto alle decisioni delle istituzioni democratiche di un paese.

Gia' oggi le multinazionali sono in grado di fare il bello e il cattivo tempo pressoche' ovunque nel mondo, ma - almeno - possiamo dire che "C'e' un giudice a Berlino": possiamo quantomeno illuderci, attraverso il voto, attraverso l'attivita' politica diretta, o attraverso il ricorso all'autorita' giudiziaria, di condizionare il potere delle multinazionali.

Se passa il MAI, tutto questo sara' finito o, nella migliore delle ipotesi, molto piu' difficile. Il MAI, infatti, avra' uno status di "trattato internazionale" e come tale un valore superiore a quello della legislazione interna di ciascun paese.

Arrivati a questo punto, vi starete domandando se tutto questo non sia frutto della paranoia di qualche esaltato. Non e' possibile, vi direte, che i governi del mondo possano approvare un simile trattato "suicida". Ebbene, ricredetevi: e' talmente possibile che e' gia' successo.

Grazie alle norme contenute nel Nafta, l'accordo per il libero scambio tra Usa, Canada e Messico, ed ora riprese dal MAI, la Ethyl, una multinazionale con base negli Stati Uniti, ha fatto causa al governo canadese perche' si e' sentita danneggiata da una legge che bandiva un additivo chimico di sua produzione. Nonostante la conclamata dannosita' dell'additivo e nonostante il fatto che esso sia proibito pressoche' in tutto il mondo, il governo canadese ha dovuto fare retromarcia, ritirare la legge e pagare dieci milioni di dollari di indennizzo alla Ethyl Co.

In molti paesi, la mobilitazione contro il MAI si e' sviluppata in modo spontaneo, man mano che si diffondevano informazioni su questo trattato. Centinaia di associazioni, sindacati, gruppi di ogni genere si sono messi in rete per contrastare il MAI e, con esso, gli altri processi di liberalizzazione economica. In prima linea si sono trovate moltissime realta' del Sud del mondo, per le quali la resistenza alla globalizzazione e' veramente una questioni di vita o di morte.

Finora, questa mobilitazione ha avuto buoni risultati, riuscendo, nell'aprile scorso, ad ottenere un congelamento di sei mesi nelle trattative. Ma la partita e' tutt'altro che chiusa: come dicevamo, fra pochi giorni ci riproveranno, senza dimenticare che ci sono molti altri fronti in cui i bulldozer della liberalizzazione avanzano (basti pensare all'Organizzazione Mondiale del Commercio, impegnata nell'abbattimento di ogni ostacolo al "free trade", alle proposte di modifica dello statuto del Fondo Monetario Internazionale, alle trattative in corso per l'istituzione di un Mercato Comune Transatlantico tra Usa ed UE).

L'Italia finora e' rimasta ai margini di questo movimento: e' tempo di colmare questo ritardo, di prendere coscienza che, cosi' come la guerra e' una cosa troppo importante per lasciarla ai generali, cosi' l'economia e' un settore troppo importante della vita sociale perche' possa essere sottratto al controllo della collettivita', che dobbiamo scegliere tra liberalizzazione economica e liberta'.

Tiziano Tissino
e-mail: tissino@tin.it
snail-mail: via Pola 3 - 33080 Porcia (PN) - Italy

Note: Per ulteriori informazioni sul MAI, ci si puo' rivolgere alla campagna 'Dire mai al MAI' continenti@iol.it o consultare il sito http://www.promix.it/roba/link/link.htm
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