Nell'Europa a 25 l'occupazione non è un obiettivo
Nonostante i flebili venti di ripresa, l’occupazione nell’Europa a 25 è ancora lontana dagli obiettivi di lungo termine fissati a Lisbona nel 2000 e da quelli di medio termine di Stoccolma 2001.
Questa settimana l’Eurostat, l’istituto statistico comunitario, ha diffuso la consueta survey per il 2005 sulle forze di lavoro nell’Europa allargata. Il tasso di occupazione, ovvero la misura della porzione di popolazione tra i 15 e i 64 anni che dichiara - nella settimana della rilevazione - di aver lavorato almeno 1 ora, si attesta al 63,8% della popolazione di riferimento per quanto riguarda l’Europa a 25 ed al 65,2% per l’Europa a 15. Nonostante i criteri delle statistiche internazionali siano laschi nella definizione di “occupato” (chi di noi definirebbe tale una persona che lavori una sola ora per settimana?), entrambi i tassi sono ben al di sotto dell’obiettivo del 70% fissato a Lisbona per il 2010, ma anche al di sotto del target di medio termine, fissato a Stoccolma nel 2001, che prevedeva il raggiungimento, entro il 2005, di un tasso di occupazione pari al 67%. Se, dunque, per quanto riguarda i traguardi di lungo termine possiamo almeno sperare, quelli di medio termine sono stati inesorabilmente mancati sia dal nucleo originario dei 15 paesi Ue, sia dall’Europa allargata. Quest’ultima non traguarda nemmeno l’obiettivo del 57% di occupazione femminile fissato per il 2005: i 25 paesi si fermano, infatti, ad un tasso di occupazione femminile pari al 56,3%. Fanno “goal”, invece, i paesi dell’Europa a 15 raggiungendo un buon 57,4%. Ma dietro le medie si nascondono le disparità enormi tra i paesi: sono infatti i paesi nord-europei, dal welfare solido e dal part-time ben pagato, a trascinare in altro l’occupazione femminile: Danimarca, Olanda, Austria, Finlandia e Svezia svettano, insieme a Portogallo ed Estonia, nella classifica della buona performance dell’occupazione femminile (al di sopra del 60%), mentre Italia, Grecia, Polonia e Malta si distinguono per i cattivi risultati: nemmeno una donna su due risulta occupata.
Non esistono sanzioni per i mancati obiettivi sociali, così i cattivi risultati sul mercato del lavoro preoccupano i governi assai di meno degli onerosi obiettivi di bilancio stabiliti nel Trattato: Lisbona e Maastricht spesso procedono su binari divergenti.
Non sembra essere motivo di preoccupazione nemmeno il significativo incremento dei salari provenienti da impieghi temporanei: nel 2005 ben un salario su sette era “temporaneo”, il 14,5% contro il 13,7% di appena un anno prima. Svettano nella classifica della precarietà Spagna e Portogallo, dove la percentuale di contratti a termine si attesta, rispettivamente, sul 33,3% e 25,7% del totale. L’Italia, con il suo 12,3% si posiziona a metà classifica. » bene notare che questi dati si riferiscono agli stock dei contratti temporanei in essere; rappresentano, cioè, la percentuale di contratti temporanei sul totale dei contratti. Se invece guardassimo ai flussi, cioè al peso del lavoro temporaneo sul totale dei nuovi avviamenti al lavoro, le percentuali si invertirebbero. Purtroppo la survey Eurostat non fornisce i dati di flusso. Eurostat conferma, però, un’altra tendenza forte del lavoro temporaneo: la sua dimensione femminile. In 17 paesi su 25, infatti, la percentuale di donne con contratto a termine supera quella maschile.
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