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    Non di cronaca ma di riflessione. Quando la storia ci rimbalza, dalla memoria ai nuovi orrori.
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    I pacifisti per tutta la durata della guerra sono stati considerati da alcuni giornali come utili idioti al servizio di Putin, se non addirittura suoi complici. Oggi si scopre che i veri filoputiniani sono stati coloro che hanno puntato tutto sulla guerra che Zelensky e la Nato stanno perdendo.
    8 gennaio 2024 - Alessandro Marescotti

Forum: Lettere

2 novembre 2005

L’Avvucatu (delle cause perse)

Autore: concita occhipinti

Una volta, mi chiesero di difendere un uomo con un reato molto strano.

Mi sentii in dovere di dare un’occhiata alla pratica.
Non volevo certo fare la figura dell’ignorante, così mi appoggiai ad un noto avvocato di Cefalù, che poi è Palermo.
Era un amico di mio padre, anche lui avvocato.

Lessi l’incarico, ma non compresi quasi nulla.

Era difficile comprenderlo, le pratiche mica sono tutte le stesse!

Mi chiesi: ed ora come faccio?

Andai alla ricerca dell’avvocato famoso, quello palermitano.

Essendo io di Cammarata che è un piccolo paese con pochissime anime…(non le conto, mi scoccia pure a contarle, tanto sono poche) mi rivolsi a don Peppino senza barba, ma con un paio di baffi che li arriccia tutte le volte che una bella signorina attraversa la strada.

Lo sapete, quello che sta sempre in piazza e guarda chi entra e chi esce dal paese!

(Veramente io so che il permesso di entrare ed uscire lo dà proprio lui…Comunque io mi sono fatto sempre i fatti miei!

A me, a Cammarata, mi conoscono da quand’ero picciriddu.

Già mi chiamavano “l’avvucatinu”… per via di mio padre.

Però, a me, nessuno me lo chiese se volevo diventare veramente avvocato!
Invece mio fratello più piccolo faceva ciò che gli piaceva, cioè nulla.
Ma la cosa strana è che aveva sempre soldi in tasca e gironzolava e si divertiva…

Mi diedero l’indirizzo di Palermo e partii, fiero di me stesso e con tanta grinta ca avissi pututu spaccari u munno custi manu!
Giunto a Palermo, al Foro con precisione,
sì! perché essere precisi è un dovere degli avvocati,
anche se principianti, entrai nell’ufficio dell’amico di mio padre: mi stava aspettando!

Miiiii… la notizia del mio arrivo ha fatto il giro in bicicletta! (Perché a Cammarata le stratuzze sono troppo piccole per camminarci con le auto)-

Comunque, entro e mi accomodo davanti ad una segretaria che quando mi vide mi spalancò un sorriso. M’affruntaiu, però me ne accorsi che la sua minigonna era troppo corta.
L’avvocato palermitano mi trattò subito come un vecchio amico.
Gli mostrai la pratica e notai che il suo viso rimase impassibile.
Né bianco né nero si fece.
Niente mi disse.
Al momento di andarmene mi diede una busta e mi indicò la strada verso l’uscita dicendo solo:
ci vediamo la prossima settimana, portami un’altra busta. U capisti?
Feci sì con la testa, ma in effetti non avevo capito nulla. Anzi, mi misi in confusione.

Tornai a Cammarata. Andavo su e giù per Palermo, e l’avvocato continuava a darmi la solita busta.

Una volta però mi chiesi:
ma mio padre mai lo fece su e giù quando lavorava?
Boh?! Può essere che io, essendo della nuova generazione, sempre sulla strada devo stare!

Poi un giorno, l’amico di mio padre mi diede una busta diversa.

Stavolta, invece della solita somma,
c’era anche un biglietto con il mio nuovo incarico: diventai Giudice. Ma non so neanche come!

Certo, non è che ne fui dispiaciuto, ma mi sarebbe piaciuto sapere come avevo fatto a diventare giudice così velocemente!

Mi decisi e chiesi all’Avvocato palermitano come mai uno diventa giudice così all’improvviso.
Mi fu risposto: e ti lamenti pure?
Come, in Sicilia sono tutti disoccupati e tu ti chiedi se vuoi diventare o no giudice?
Se vuoi…ti mando a Roma, se qui non ti piace. Tu l’importante è che la busta me la riporti sempre piena, hai capito?

Annuii di nuovo. Allora pensai di farmi furbo…e mi decisi di rifiutare l’incarico.

Un giorno mentre passeggiavo in piazza, vidi don Peppino senza barba.
Mi fece segno con la testa, per dire: vieni qua.Mi diressi verso lui e gli baciai la mano.
Don Peppino, uomo di rispetto è. Per me come un padre.
-Ti devo parlare.
-Don Peppino, a sua disposizione.

Mi disse: a Palermo tutto bene?
Io divenni rosso.

Miiiii… pure lui lo sapeva!
Altro che bicicletta, in aereo arrivano le notizie!
Sarà stata quella stronza della portinaia. Quella, conta tutte le volte che faccio le valigie!

-Lo sai, quand’eri picciriddu, a tuo padre ci aprii uno studio, e ci feci tanti clienti. Lui rispetto sempre mi porta. E tu?… Tu me lo porti il rispetto?
-Quando hai problemi, qui c’è lo zio Peppino…A proposito, a Roma quando ci vai?
-Perché… Devo andare a Roma?
-Certo! Tu sei un avvocato speciale, ora, pure giudice sei.
Qui a Cammarata solo disoccupati ci sono.
Tu devi far carriera. A noi ci serve un uomo bravo come te. A Roma bisogna andare, a cambiare aria. U capisci?
-Certo Don Peppino! Avvocato sono!

Mentre, dentro me mi cominciava a scantari…E chi glielo diceva che non lo volevo l’incarico?

-Mi devi dire qualcosa?
-(feci cenno di no con il capo)
-Mi devi dire qualcosa? (stavolta me lo chiese con un tono più deciso.

-Don Peppino…lei lo sa che ci sono debitore…ma io a Roma non ci voglio andare…Là le strade sono grandi e io perso sono. Mi sento nicu nicu…
-Questo è un problema? E tuo padre, allora, che dovrebbe dire?
-Don Peppino, Roma grande assai è…Mi scantu!
-Mi scantu?… Nu masculu ca si scanta?!
-E ora ci pensi? Ma poi, di che ti scanti? Ci sono qua io, Don Peppino! Allora, ci vai a Roma… o lo devo dare ad un altro l’incarico eh?! Pensaci Meno, la risposta me la dai un altro giorno, quando sei più sereno. Oggi il sole picchia forte e non si ragiona bene.

Partii per Roma, ma stavolta da Giudice entrai.

Miiiiiii… pure a Roma sono conosciuto!!!

Qui finisce che mi mandano a New-York.-
Ma a New-York io non ci vado, neanche morto!
Mi perdo, la lingua è un’altra. Io a New-York non ci vado.

Mentre pensavo tutte queste cose, che già mi sentivo pesante, il telefono mi squilla.
-Pronto?
_Sei tu?
-Certo che sono io! Don Peppino che ha bisogno di me?
-Sì, figghiu mio, mi bisognava una cosa. Me la faresti una cortesia?
-Tutto quello che desidera!
-
-Ti detto un numero, il prefisso è di Milano. Ma a te non te ne fotte niente.
Lo fai e quando ti risponde quella persona, ci dici che il treno sta arrivando, e che dentro c’è un vagone di cioccolata bianca. U capisti?
-Avvocato sono, Don Peppino, così mi offende!
-Pure permaloso sei diventato! Non è che l’aria del continente è troppo pesante?
-Non ci sei avvocato, giudice sei, nun tu scurdari, e ora… fai sta’ telefonata!

La feci la telefonata. Ne feci assai di telefonate da quel giorno.
Anche i treni furono assai, e di cioccolata i milanesi ne mangiarono parecchia.
Tanto che mi chiesi:
Tutta sta’ cioccolata mangiano? A me mi sarebbe venuto un mal di pancia! A mio fratello piccolo no, solo che lui la preferisce nera…peccato, ce ne potevo fare dare un pezzo…Mio fratello piccolo, certo volte ci penso, e quando ci penso le lacrime mi scendono sole…beato lui che può fare ciò che vuole…e poi ora ci tiene pure il bastone a don Peppino…

Mi sarebbe piaciuto tornare picciriddu…con la bicicletta rossa per le stratuzze di Cammarata…
Certo di buste non ne porto più, meno male, stanco ero di andare a fare su e giù…Ma ora ci sono cause che mi annoiano…

La fine la conosco prima… non c’è manco piacere!

Miiiiii… quant’è difficile fare il giudice!!!

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