Mons. Angelelli, il Romero dell'Argentina 4 agosto '76 - 4 agosto 2006
Il 4 agosto ricorrono i 30 anni dall'assassinio di Mons. Enrique Angelelli, vescovo di La Rioja e figura indiscussa dei settori piu' progressisti della Chiesa. Il Papa Paolo VI lo aveva nominato l'11 luglio del '68. Nel suo stemma episcopale scrivette il tema al quale conformo' tutta la sua pastorale: "GIUSTIZIA E PACE". Una sua frase famosa era: " Per servire, bisogna tenere un occhio attento al Vangelo e l'altro al popolo". Angelelli si converti' nel simbolo della lotta contro un regime violento, nel simbolo di un'idealista incapace di favorire l'odio. Fu' assessore della GIOC (Gioventu' Operaia Cristiana) e della GiUC (Giovantu' Universitaria Cattolica). Gli operai e gli universitari lo ricevevano cantando in coro: "Monse- Monse- Monseñor!", provocando il suo sorriso ampio e franco, felice di trovarsi in mezzo a loro che tanto amava. Dette impulso all'evangelizzazione del mondo del lavoro, cercando negli insegnamenti di Gesu' en el Vangelo le risposte concrete ed effettive ai problemi dei lavoratori e le sue relazioni coi padroni. " Sono solo tra i miei fratelli vescovi argentini". L'assassinio di due sacerdoti suoi collaboratori gli faceva ripetere: "Dopo tocca a me"...Era in viaggio con un'altro sacerdote da Chaminal a La Rioja, quando un'altro veicolo guidato da tre militari, li affianco' e li chiuse bruscamente. Il FIAT 125 su cui viaggiavano si ribalto'. Il suo corpo fu' ritrovato a 25 matri dal veicolo. Enrique Angel Angelelli era natto nel barrio San Martin, a Cordoba, provincia identificata per il suo paeseggio montagnoso, ubicata nel centro dell'Argentina. In una cava di calce nella zona di Cordoba, in presenza dei padroni, Angelelli preferi' celebrare la messa dei lavoratori. Davanti ad un conflitto lavorativo in una fabbica di pile, i sacerdoti appoggiarono le richieste dei lavoratori. Gli impresari speravano che Angelelli, vescovo ausiliare, frenasse i parroci. Li ascolto' pazientemente in silenzio. Quando terminarono gli disse: "Guardate, se questa ingiustizia continua, un giorno saremo giunti nel medesimo muro: voi i padroni e noi i sacerdoti. Voi, per non aver praticato la giustizia sociale. Noi, per non averla saputa difendere". Angelelli era cosciente che il problema cruciale della Rioja era la scarsezza delle fonti di lavoro e che gli abitanti emigravano in cerca di occupazione. Sapeva anche che esistevano grandi estensioni di terra improduttiva e abbandonata dai suoi proprietari.
Angelelli scopri' che nella Rioja i salari erano bassi e i lavoratori non erano iscritti alla sicurezza sociale. Allora la Chiesa spinse per un'ispezione della segreteria del lavoro e della sicurezza sociale per determinare le condizioni nelle quali si stava lavorando.
Come risposta il 27 agosto del '72 furono arrestati due dei suoi sacerdoti, sotto l'accusa di detenzione di armi ed esplosivo della guerriglia. Angelelli comincio' la messa e, al momento dell'Offertorio, la interruppe e si diresse con i sacerdoti e il popolo a protestare davanti ai giudici del Tribunale Superiore di Giustizia della provincia. Osservando la falsita' delle accuse, i sacerdoti furono liberati. Angelelli soffriva: " La liberazione di un popolo e della sua Chiesa e' come una cipolla", diceva. "Le tolgono una scorza e ne tiene un'altra sotto". Soffriva con la sua gente, pero' non si perse d'animo. Un giornale lo accusava di essere "comunista e marxista", "sovversivo" e "guerrigliero". Vari amici consigliarono a Angelelli che si allontanasse per un po', o andando all'estero, pero' egli respinse completamente questa possibilita': "E' a me che cercano; se me ne vado, vanno a uccidere le pecore". Come Gesu' la notte che lo catturarono, Angelelli aveva piena coscienza che la sua ora si avvicinava. Affronto' la morte con la serenita' e la certezza di aver operato come doveva: "Si mi uccidono e' perche', per il Signore, la mia opera e' terminata".
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