Latina

I trent'anni delle «Madri»

L'orgoglio di lottare per ciò in cui credevano i nostri figli desaparecidos
1 maggio 2007
Hebe de Bonafini (Presidente dell'Associazione delle Madres de Plaza de Mayo)
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Mi hanno chiesto di scrivere che cosa sento, oggi, quando penso che sono Madre di Plaza de Mayo.
Prima di tutto, e in ogni caso, sento che sono madre. E cosa significa essere madre?
Per me è un amore immenso per la vita, è la passione che ho vissuto insieme al mio unico compagno, il padre dei miei figli. È la tenerezza di allattare per tanti mesi i miei tre figli e, insieme a loro - visto che avevo sempre tanto latte - altri bambini del mio quartiere, El Dique.
Per quarant´anni sono stata madre e moglie. Quando i miei figli maggiori cominciarono la loro militanza rivoluzionaria, il mio cuore cominciò a battere in modo diverso e cominciai a capire tante cose e ad abbandonare l'egoismo che è proprio di ogni madre.
Quando i miei figli cominiciarono a non tornare a casa la domenica all'ora di pranzo, quando nel patio si facevano lunghe riunioni che finivano con canti che non conoscevo, ho dovuto passare dal tango Uno al Gallo Negro, Gallo Rojo e alle canzoni di Víctor Jara.
Per me, essere madre ha significato accogliere nel mio grembo i miei bambini e farli nascere, e poi accoglierli di nuovo - nel mio grembo e nel mio cuore - quali militanti rivoluzionari. Loro, che si nutrivano dei libri di Mao, di Marx, del Che, della chiesa del Terzo mondo.
Così, lentamente, cominciai ad avvicinarmi alla nuova vita che era entrata nella mia casa, portando con sé tanti giovani. Ma un giorno terribile, fatale - avevo da poco compiuto 49 anni - sequestrarono il mio figlio maggiore.
Tutti mi conoscevano come Kika Pastor - il mio nome da nubile -; finché una telefonata non mi annunciò che mio figlio Jorge era scomparso. In quell'istante diventai Hebe de Bonafini.
Fu nel febbraio 1977 che - molto scossa - misi per la prima volta piede nella Plaza de Mayo e conobbi Azucena e María Adela. Entrambe produssero un forte impatto su di me. La piazza diventò per me l'alimento indispensabile per sopportare il dolore, la rabbia, l'amarezza. Comunicare con le compagne ci dava serenità; quando ci incontravamo, ci abbracciavamo a lungo l'un l'altra, finché - parlando - non cominciavamo a marciare. Com'è successo? Quando? Sai qualcosa? Sempre le stesse domande.
Essere «Madri di Plaza de Mayo» è oggi il nostro orgoglio più grande, è fare quello che i nostri figli volevano fare.
È nella Plaza de Mayo, nella «nostra» piazza, che si produce l'incredibile miracolo della resurrezione. È sempre lì che, ogni giovedì, da trent'anni, alle 15.30, ci troviamo con loro.
Essere «Madre di Plaza de Mayo» è sentire che i miei figli mi hanno «partorito» alla lotta, che tutti coloro che lottano sono i miei figli.
Ogni sera sento le loro voci, i loro canti, i loro passi all'alba, i loro andirivieni, le prove teatrali che facevano al Nacional, e vedo la pila dei loro libri, la loro università... sempre vita e ancora vita!
I miei primi viaggi all'estero, gli incontri con le donne e con gli uomini del mondo intero per raccontare urlando quello che accadeva in Argentina. Cercare la forza e il coraggio per pubblicare, in piena dittatura, un bollettino che dopo diventò un periodico. Organizzare il caffé letterario, l'università popolare, la libreria, la biblioteca, la casa editrice, la radio e, da sei mesi a questa parte, costruire case nelle villas miserias, prima nella Ciudad Oculta, dopo a Los Piletones, adesso a Lugano. È anche così che facciamo la rivoluzione: insieme a donne e uomini che ricostruiscono la loro vita lavorando e lottando per un'abitazione dignitosa. Le mense, la scuola materna, presto le scuole, le nostre prime scuole elementari. La missione «Sueños compartidos» ha a che vedere con loro, con i nostri figli rivoluzionari.
Essere «Madre di Plaza de Mayo» è una lotta di amore condiviso; il nostro fazzoletto bianco è il loro abbraccio e quello della piazza; marciare ogni giovedì è per noi partorire vita ogni settimana.
Ogni giovedì è diverso, unico. Ad ogni marcia, continuiamo a dare vita ai nostri figli, con il latte tiepido e nutriente che non finisce mai: quello della lotta per la vita che sconfigge la morte. Una passione disperata è sempre nel mio cuore, quella che culla trentamila fantastici, unici e meravigliosi giovani che hanno dato la vita per il loro popolo, per un paese migliore, più giusto e solidale.

Note: ©Ventitreis/il manifesto

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