Bolivia: fallisce il referendum separatista di Santa Cruz
Come hanno realmente votato a Santa Cruz in occasione del referendum svoltosi domenica scorsa 4 maggio? E' questo l'interrogativo maggiore che si pongono autonomisti e sostenitori di Evo Morales ad una settimana dal voto da cui si possono comunque trarre le prime considerazioni. Di certo a farla da padrone è stata l'astensione, e questa può essere considerata una buona notizia per il governo Morales, anche se già incombono referendum separatisti negli altri dipartimenti della cosiddetta mezzaluna dell'Oriente boliviano: Beni, Pando e Tarija svolgeranno presto la loro consultazione che, al pari di quella di Santa Cruz, è illegale e non ha nessun valore politico, per parafrasare le parole dell'inviato dell'Onu Rodolfo Stavenhagen.
Nonostante sia difficile fare una valutazione complessiva dei dati, l'astensione dovrebbe essersi attestata intorno al 40%, mentre un altro 15% degli aventi diritto al voto ha scelto il "no": è quindi evidente che pur essendo presente una larga parte di cittadini favorevoli all'autonomia dello stato da La Paz e il resto della zona andina del paese, non c'è stato il plebiscito che i rappresentanti del Comitato Civico di Santa Cruz si attendevano: su 930mila persone (più o meno il numero degli abitanti dello stato di Santa Cruz), sono andati alle urne non più di 570mila, con punte di astensione oscillanti tra il 42% di Camiri e il 60% di città come Montero e Saipina.
Aldilà della guerra di cifre, è evidente che il Comitato Civico di Branko Marinkovic si aspettasse un risultato assai più significativo, anche se questo non gli ha impedito di celebrare pubblicamente la "vittoria" proclamando ugualmente l'autonomia e gli aderenti alla Ujc (Unión Juvenil Cruceñista) abbiano celebrato la discreta prevalenza dei "si" esibendosi nel loro peggior repertorio di saluti fascisti e inni razzisti inneggianti alla Nación Camba. Dopo il mancato trionfo del Comitato Civico e della Ujc è interessante vedere quali saranno le loro prossime mosse: in più di un'occasione hanno minacciato di mettere a ferro e a fuoco il paese e restano tuttora una spina nel fianco del governo Morales, soprattutto per la loro aggressività e per la capacità di mobilitazione in uno stato che già non sopporta gli indigeni e dove sui muri delle strade non è raro leggere scritte minacciose del genere: "Evo: Santa Cruz sarà la tua tomba". La balcanizzazione del paese continua a rimanere un rischio concreto, sul cui fuoco soffia incessantemente l'opera dell'ambasciatore statunitense Goldberg, ma l'alta percentuale astensionista dovrebbe essere riuscita a svelare i veri piani dell'oligarchia cruceña. Scrive il giornalista boliviano Sergio Cáceres: "Non è la prima volta che si odono le minacce del Comitato Civico di Santa Cruz, però non hanno mai messo in pratica i loro progetti separatisti. Non lo fanno perché non possono o perché non vogliono? Entrambe le cose: non vogliono, non possono e nemmeno è conveniente, poiché l'illusione dell'autonomia serve per mobilitare e quella del separatismo per minacciare. Grazie alle minacce hanno tutelato i loro interessi, in particolare il controllo della terra e delle risorse naturali".
Se Morales ha rilasciato dichiarazioni trionfanti sul "totale fallimento del referendum", l'analisi del vicepresidente García Linera coglie invece un punto fondamentale: l'esito della consultazione ha confermato due punti di vista totalmente differenti a livello politico, ed "una società divisa arreca danno agli abitanti di Santa Cruz come a tutti i boliviani".
Oltre agli imminenti referendum degli altri stati separatisti, il governo Morales è alle prese con una battaglia altrettanto difficile: il primo maggio, pochi giorni prima del referendum, Evo ha nazionalizzato Entel, la compagnia telefonica boliviana di proprietà di Telecom, che già aveva citato per danni la Bolivia di fronte al Ciadi (il tribunale della Banca Mondiale) nel 2007. E' probabile che la reazione di telecom non si farà attendere.
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