Latina

Colombia, dal labirinto della violenza al geroglifico della pace

La firma dell’accordo di pace fra il governo e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia-Ejército del Pueblo (FARC-EP) sarà il passo decisivo per la normalizzazione della vita politica sociale ed economica in Colombia?
12 febbraio 2013
Sergio Ferrero Febrel e María Angélica Alvarado
Fonte: El País - 08 febbraio 2013

l'altra colombia Il negoziato avviato alla fine del 2012 per concludere il conflitto armato fra il governo della Colombia e le FARC-EP ha suscitato speranze in una popolazione stremata da anni di terrore. Allo stesso tempo però si sono riattivati lo scetticismo e gli interrogativi, sempre presenti nella Colombia invisibile che soffre la logica della violenza, lontana ogni giorno di più dall’incalzante e instancabile ritmo cosmopolita di Bogotá e Medellín.

La firma dell’accordo di pace fra il governo e le FARC sarà il passo decisivo per la normalizzazione della vita politica sociale ed economica in Colombia? Oppure è solo un mattoncino che non riuscirà a offrire soluzioni alle dinamiche violente che bloccano lo sviluppo rurale e la pace sociale del Paese? Le FARC sono la chiave di volta di questo labirinto violento che impedisce il normale funzionamento dell’apparato statale in alcuni territori o non sono che un attore all’interno del narcotraffico e di altri settori, a loro volta parte del violento mosaico della Colombia? Qual è la dimensione e la reale portata della soluzione politica al conflitto colombiano e del negoziato? Chi rappresentano le FARC-EP e che livello di legittimità politica e sociale hanno?

Si potrebbe pensare che, senza le FARC, lo Stato sarebbe più presente e più efficace. Il monopolio della forza e il potere della legge garantirebbero una reale capacità di governo. La decentralizzazione in favore delle regioni costituirebbe un vero trasferimento di risorse, un effettivo rispetto del principio di sussidiarietà e si porrebbe in essere una efficiente legislazione. Ci sarebbe più trasparenza, la burocrazia esistente non lascerebbe campo libero alla corruzione e la giustizia recupererebbe terreno nei confronti dell’impunità. Senza le FARC-EP la paura sparirebbe, le mine antiuomo sarebbero disattivate per lasciare spazio ai campi coltivati, le missioni mediche sarebbero in grado di raggiungere anche i posti più remoti per portare assistenza sanitaria, i diserbanti cesserebbero di inquinare le sorgenti, le industrie estrattive, in tutte le loro forme, non sarebbero più fonte di finanziamento per la criminalità, la riconciliazione e il perdono si diffonderebbero lentamente su una nuova Colombia dove tutti avrebbero il loro posto meno la violenza e la paura. Sembra però molto difficile sostenere queste previsioni nella Colombia attuale.

Come ha spiegato il professor Luis Jorge Garay, nel libro “La Captura y Reconfiguración Cooptada del Estado en Colombia” il controllo sociale ed economico non è patrimonio esclusivo di nessuno, nemmeno delle FARC-EP. Conseguentemente, gli accordi che potrebbero derivare da questo negoziato potrebbero avere un impatto più simbolico che pratico nella soluzione del problema. Humberto de la Calle (politico colombiano, ex vicepresidente, NDT), riconosce che: “ La soluzione del conflitto con le FARC-EP è solo l’inizio della costruzione della pace sociale.”

Il conflitto colombiano può essere considerato di origine agraria o perfino un conflitto di classe o fra strati sociali. Nonostante ciò, le FARC-EP non sono in grado di portare avanti una proposta di sviluppo per il Paese in questi momenti e nemmeno il governo ha intenzione di cambiare la sua rotta. D’altra parte, non è nemmeno pensabile rifondare sessanta anni di Colombia a L’Avana (sede nei negoziati, NDT). Il Paese sta entrando nel sentiero del capitalismo globale. Forse si sta invece pensando di neutralizzare l’azione armata della guerriglia più longeva che si ricordi con il dialogo e inglobare la sua visione politica, economica e sociale utilizzando i canali ordinari, con la piena garanzia della sopravvivenza fisica e intellettuale da parte dello Stato, per poi cercare la trasformazione sociale ed economica che la guerra non è riuscita a ottenere. In questo caso è possibile che la nostra analisi sia più realistica rispetto al vero obiettivo del Governo, rispetto ad alcune visioni pragmatiche all’interno della stessa guerriglia e rispetto a cosa si può sperare di ottenere da questo processo di pace, ammesso che se ne possa ancora ottenere qualcosa.

La violenza in Colombia è un modus vivendi e operandi del processo politico almeno dal 1946 quando le élite liberali e conservatrici inaugurarono uno stile nella concezione delle relazioni di potere che è cambiato e si è complicato in questi anni a causa di diversi fattori. Sono risultati decisivi i processi di colonizzazione effettuati a partire dal 1964 a Tolima, Caldas o nella Valle del Cauca, la nascita dei movimenti guerriglieri degli anni ’60 (come le stesse FARC, l’Ejército Popular de Liberación (EPL), l’Ejército de Liberación Nacional (ELN)), la creazione delle strutture paramilitari degli anni ’90 come le Autodefensas Unidas de Colombia (AUC) che in breve sono riuscite a differenziarsi dalle "guerriglie di pace" o "di pianura" della metà del ventesimo secolo. Infine, la cultura dei cosiddetti “traquetos” (narcotrafficanti, NDT) e l’epoca dei cartelli di Cali e Medellín che ebbero come maggior esponente Pablo Escobar.

Questa combinazione, questo amalgama di processi perfettamente connessi fra loro, strutture visibili o invisibili, interessi e impunità legali o illegali, legati per oltre mezzo secolo come parte intrinseca delle dinamiche politiche, sociali ed economiche, con maggior penetrazione a livello locale, hanno finito per costruire e trasformare la società colombiana, costituendo il vero labirinto di violenza e un geroglifico difficile da interpretare nella ricerca della pace sociale, del buon governo e dello sviluppo rurale. La soluzione oltrepassa la fine del conflitto armato con le FARC-EP.

Ciò nonostante è necessario dare importanza a un possibile accordo di questo tipo che, si spera, avrà importanza storica. Inoltre, è necessario riconoscere gli sforzi del Presidente Santos che cerca di svolgere il suo compito con un gran senso dello Stato, responsabilità e coerenza. Ciò non è poco e non è facile, considerando l’eredità ricevuta dal suo predecessore in termini di polarizzazione sociale e diritti umani.

Ovviamente, come vediamo ogni giorno, questo processo include anche dei grandi rischi,che si estendono dai sabotatori che girano nascosti o a viso scoperto, fino a eccessivi personalismi, passando per l’agenda del dialogo, la dinamica inarrestabile degli scontri e il ruolo delle vittime legato al futuro indennizzo.

Inoltre, l’agenda dei negoziati non dovrebbe rendere invisibile la crisi umanitaria che è vissuta da ampie zone del Paese. Fonti non ufficiali calcolano che il 2012 si è chiuso con un aumento del 70% delle persone sfollate rispetto al 2011. La realtà ci allontana dallo scenario del post-conflitto e delle soluzioni durature. In questo senso, le istituzioni dello Stato e le persone che si occupano di interventi umanitari e di diritti umani in generale (compresi coloro che inviano soldi o altri beni) non dovrebbero lasciarsi prendere esclusivamente dall’entusiasmo che genera quest’ agenda politica.

Purtroppo, non siamo vicini alla decifrazione del geroglifico della pace sociale in Colombia.

Tradotto da Alessandro Stoppoloni per PeaceLink. Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.

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