Latina

Nel 2017 sono stati assassinati 42 operatori dell'informazione

In America latina tiro al bersaglio contro i giornalisti

Le istituzioni criminalizzano i reporter e garantiscono l'impunità ai loro carnefici
17 gennaio 2018
David Lifodi

internet

L'America latina continua ad essere un continente ad alto rischio per i giornalisti. Nel 2017 sono stati assassinati 42 operatori dell'informazione in nove paesi del continente compresa la sparizione forzata di molti di loro. Nella maggior parte dei casi non è stata svolta nemmeno un'indagine per capire chi è stato il responsabile di questi crimini, anche se in alcune circostanze è evidente come i mandanti siano da ricercare all'interno dei palazzi del potere, soprattutto in Messico e in Honduras.

Nel corso di tutto il 2017, la Federación de Asociaciones de Periodistas Mexicanos (Fapermex) e la Federación Latinoamericana de Periodistas hanno più volte denunciato e condannato l'irresponsabile criminalizzazione dei giornalisti operata dalle stesse istituzioni, come se fossero le autorità, in primis, a giustificare minacce, aggressioni e omicidi contro gli operatori dell'informazione. Il tentativo, assai evidente, è quello di dimostrare, di fronte all'opinione pubblica, che se sono stati uccisi hanno ficcato il naso in qualcosa che non competeva loro, secondo lo stesso cliché utilizzato per il femminicidio, altra piaga del continente. Un esempio di tutto ciò riguarda il caso di Gumaro Pérez Aguilando, un giovane giornalista di 35 anni che il governo dello stato messicano di Veracruz, dove negli ultimi anni è stato registrato il maggior numero di omicidi, ha descritto come un narcotrafficante per giustificarne la scomparsa. Gumaro, specializzato sulle tematiche relative alla sicurezza, è stato assassinato lo scorso 19 dicembre.

L'impunità dilagante ha fatto si che le organizzazioni sindacali di categoria abbiano iniziato a dichiarare tutta la loro impotenza. Gli operatori dell'informazione messicana hanno scritto che non possono organizzarsi in bande armate per difendersi e per tutelare il loro diritto alla vita. Questo compito spetterebbe ad uno Stato che si reputi civile, invece di spingere i giornalisti verso quell'autocensura a cui non si è mai piegata Miroslava Breach Veducea, corrispondente del quotidiano La Jornada dallo stato di Chihuahua, assassinata il 23 marzo 2017 mentre accompagnava suo figlio a scuola. Il suo caso è quello che ha maggiormente scosso l'opinione pubblica perché lavorava per un quotidiano di primo piano e, in questa circostanza, sono stati catturati gli autori materiali e i mandanti dell'omicidio. La lista degli operatori dell'informazione assassinati in Messico tuttavia è lunghissima e non si può fare a meno di ricordare il giovanissimo Juan Luis Lagunas Rosales, youtuber diciassettenne ucciso molto probabilmente dal cartello della droga New Generation, emergente nello stato di Jalisco. Il ragazzo affrontava le tematiche attinenti al narcotraffico sul canale you tube El Pirata. Dietro alla sua morte, provocata da 15 colpi di pistola la notte del 18 dicembre, il capo dei narcos di New Generation, Nemesio Ocegara Cervantes. E ancora, Edwin Rivera Paz, honduregno che ha trovato la morte in Messico (ancora nello stato di Veracruz), dove era giunto in qualità di rifugiato e godeva della protezione da parte delle Nazioni unite.

Ad agire contro i giornalisti sono spesso sicari pagati da classi politiche corrotte che si finanziano tramite il narcotraffico e, per avere la strada spianata, eliminano sistematicamente i giornalisti che scelgono di non rimanere in silenzio. Questa sorta di operazione di pulizia permanente avviene in un continente dove, in teoria, non sono in corso guerre, anche se, come avviene da anni in Honduras, ci sono paesi che vivono in una sorta di democratura perenne. Proprio in Honduras, dal 2003 ad oggi, sono stati uccisi 73 giornalisti, per tacere di tutti quelli più volte minacciati da governi dove albergano criminali di ogni tipo, come dimostra la situazione politica del paese centroamericano. In Honduras, come del resto negli altri paesi, lo scopo che si vuole raggiungere uccidendo i giornalisti è quello di disgregare il tessuto sociale.

Inoltre, i governi spesso assimilano giornalisti e fotoreporter ai manifestanti e li considerano, né più né meno, bersagli da colpire. Se in Argentina, soltanto per puro caso, i cortei e le iniziative contro il presidente Mauricio Macri si sono concluse con un saldo di diversi operatori dell'informazione rimasti feriti durante la repressione poliziesca, in Colombia un gruppo di poliziotti dell'Esmad, il famigerato Escuadrón Movil Antidisturbios, lo scorso 8 ottobre ha ucciso a colpi di pistola la giornalista della radio indigena Renacer Coconuc, che stava coprendo le proteste della comunità kokonkco contro lo sgombero dalle loro terre ancestrali nel dipartimento del Cauca.

Gli operatori dell'informazione latinoamericana, in risposta a questa ondata di attacchi che per tutto il 2017 ha visto i giornalisti nel mirino, ha stilato una lista contra el olvido dove accanto al nome di ogni reporter caduto è riportata l'età, la testata per cui lavorava e il motivo per cui è stato ucciso. Il fatto che dopo 30 anni, lo scorso 4 dicembre, sia stato ucciso un giornalista anche in Cile, Marco Álvarez Valenzuela, ancora senza alcun chiarimento o indagine effettuata da parte della polizia, fa temere un 2018 altrettanto funesto per i reporter latinoamericani.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l'autore.

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