Presidenziali Brasile: un fronte comune contro Jair Bolsonaro
Attualmente il paese è governato da una pandilla, sostengono molti analisti politici, una banda di criminali senza scrupoli guidati da Michel Temer, il quale, dopo aver fatto il lavoro sporco per Washington e le destre continentali, si appresta a lasciare il Planalto con un indice di gradimento vicino allo zero. Sotto di lui il Congresso è stato popolato da individui ben lontani da un minimo livello etico, morale e intellettuale. Certo, la distanza del Partido dos Trabalhadores con quella che era la sua base sociale è evidente, culminata in una serie di errori conclamati e disastri fin troppo messi a nudo, ma le transnazionali negli ultimi anni hanno avuto garantito il via libera a tutti i loro progetti. Tra gli ultimi, che un Congresso in stato agonizzante approverà comunque a larga maggioranza, quello dell’utilizzo degli agrotossici prodotti negli Stati uniti, ma apertamente vietati in Europa.
Se nell’ultimo mandato di Lula e all’epoca della presidenta Dilma Rousseff, prima del colpo del stato che la spodestasse, entrambi avevano scommesso, erroneamente, su una sorta di pace sociale non dichiarata con il grande latifondo, la bancada ruralista e l’oligarchia terrateniente, che comunque non si è fatta scrupoli nell’eliminare politicamente entrambi, ora occorre fare di tutto affinché la destra, che si tratti di quella conservatrice incarnata da Geraldo Alckmin e dalla cosiddetta ”socialdemocrazia” brasiliana o di quella razzista di Bolsonaro, non arrivi al Planalto. Già negli ultimi mesi la totale impunità di cui sentono di poter godere i sostenitori di un Brasile escludente ha portato all’omicidio di Marielle Franco, la giovane donna del Psol (Partido Socialismo e Liberdade) il cui assassinio ha scosso tutto il mondo.
Per Lula resta un’unica speranza, quella che la Corte Suprema il prossimo 15 agosto gli permetta di potersi candidare alle presidenziali e fare campagna elettorale. La giurisprudenza consentirebbe la partecipazione di candidati condannati in seconda istanza, ma in un paese dove la democrazia è messa a rischio anche dai principali gruppi dell’oligopolio mediatico, per Lula e la sinistra (da quella petista più istituzionale a quella radicale e antagonista), la strada non si preannuncia delle più facili.
Se da una parte si moltiplicano gli appelli per fermare il ritorno del fascismo in Brasile e all’unità delle sinistre, è anche vero che gran parte dei brasiliani si informano mediante le trasmissioni televisive, dove l’ostilità a Lula è tratto caratteristico di tutti i programmi di approfondimento politico. In primo luogo, il grande latifondo mediatico sta cercando di far passare l’idea che il Pt commette un grave errore nell’insistere a candidare Lula, in modo tale che gli elettori si convincano a non votare l’ex presidente in quanto si tratterebbe di un voto a perdere. In secondo luogo, si cerca di gettare fumo negli occhi nei confronti degli elettori sostenendo che le candidature a sinistra di Lula, di Guilherme Boulos (per il Psol) e di Manuela D’Avila (per il Partido Comunista do Brasil), sarebbero espressamente contro l’ex presidente. In realtà, i tre sono tutt’altro che avversari e ritengono opportuna la creazione di un fronte unico delle sinistre contro il golpismo. Infine, nella contesa elettorale peserà anche il ruolo di personaggi assai ambigui come Ciro Gomes e Marina Silva, entrambi noti comunque per la loro avversione nei confronti di Lula.
A proposito delle presidenziali brasiliane è molto interessante l’intervista rilasciata alla rivista uruguayana Brecha dalla sociologa Esther Solano, ricercatrice all’Università di San Paolo. Quest’ultima, partendo dal presupposto che Lula difficilmente potrà uscire dal carcere, ritiene che il Pt faccia comunque bene ad insistere sul suo nome perché è detentore di un capitale politico immenso di cui non godono altri eventuali candidati petisti, per quanto degnissimi, da Celso Amorim a Fernando Haddad. Per lo stesso motivo, D’Avila e Boulos, leader anche del movimento dei senza tetto, non possono vantare il seguito di Lula. Al tempo stesso, sottolinea Solano, è altrettanto evidente che la sinistra è ostaggio del Pt e il Partido dos Trabalhadores è prigioniero di Lula, l’unico ad avere una reale opportunità di vittoria.
Quanto alla destra tradizionale, per la quale potrebbero gareggiare lo screditato governatore di San Paolo, Geraldo Alckmin, anch’esso coinvolto nello scandalo Lava Jato, o l’ex sindaco di San Paolo João Doria, i suoi elettori la potrebbero abbandonare per sostenere Jair Bolsonaro. La sociologa Solano, dalle interviste raccolte, percepisce che chi voterà Bolsonaro lo farà per dare espressione ad un voto di protesta nel segno del pugno duro e della tolleranza zero, come gli statunitensi hanno eletto Trump e i francesi appoggiato Marine Le Pen.
Al contrario del Pt, che ha perso contatto con la gente, con le piazze e con le strade del paese, Bolsonaro si presenta come colui che si occupa delle periferie, incontra le persone e parla un linguaggio molto vicino a quello dell’uomo qualunque. Se le sinistre non prenderanno rapidamente adeguate contromisure un omofobo, razzista e nostalgico della dittatura potrebbe arrivare al Planalto, grazie anche all’aperto sostegno delle chiese evangeliche.
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