Latina

Honduras: In difesa della sanità e l’istruzione pubblica

Medici e maestri esigono deroga di decreti che privatizzano i due settori. Violenta repressione fa morti e feriti
2 giugno 2019
Giorgio Trucchi

Repressione della polizia militare (Foto G. Trucchi | Rel-UITA)

Dopo due giorni di sciopero nazionale e più di quaranta di protesta contro la privatizzazione della sanità e l’istruzione pubblica, il movimento di medici, infermieri, maestri e professori, sostenuto da ampi strati della popolazione, appare solido e deciso più che mai a continuare una lotta che, giorno dopo giorno, assume i contorni di una vera e propria insurrezione contro un governo e una classe politica falcidiata da casi di corruzione, narcotraffico e svendita del patrimonio nazionale e dei servizi pubblici.

La Piattaforma per la difesa della sanità e l’istruzione, che riunisce le principali associazioni di categoria, esige la deroga immediata della Legge di ristrutturazione e trasformazione del sistema sanitario nazionale e del sistema nazionale d’istruzione ed anche di tutti quei decreti (PCM) che, oltre a dichiarare lo stato di emergenza, creano commissioni speciali che hanno il compito di trasformare entrambi i settori.

Braccio di ferro

Come spesso accade in Honduras, la decisione è stata presa dal governo e avallata dal Parlamento, senza consultare le organizzazioni di settore. "La cosa è molto semplice e si risolve in 5 minuti. Derogate  legge e decreti e ci sediamo a studiare insieme come trasformare la sanità e l’istruzione per garantire un sistema pubblico di qualità", ha detto Suyapa Figueroa, presidenta del Colegio Médico de Honduras.

Ma il governo hondureño e il Partito nazionale, principale ispiratore e difensore del colpo di Stato del 2009 -tra pochi giorni ricorrerà il decimo anniversario-,  hanno più volte dimostrato di non essere avvezzi ad accettare imposizioni, e di preferire lo scontro diretto e l’annientamento dell’avversario. E il governo lo ha dimostrato in questi giorni, lanciando la polizia militare contro le manifestazioni pacifiche e reprimendo con violenza brutale la protesta nelle piazze di buona parte del paese.

La comunità Guadalupe Carney, zona del Bajo Aguán, nel nord dell’Honduras, è stata vittima della violenza del corpi militari creati dal presidente Hernández per gestire l’ordine pubblico. Il Comitato municipale in difesa dei beni comuni e pubblici di Tocoa ha denunciato l’attacco indiscriminato contro abitazioni e luoghi pubblici della comunitá che, in modo massiccio, si è unita alla protesta e ha sostenuto la lotta contro la privatizzazione della sanità e l’educazione. Tra i feriti anche due minori di 8 e 15 anni.

L’ambiguità USA

Il saldo provvisorio è di almeno tre manifestanti uccisi, decine di feriti e varie persone arrestate, tra cui il giovane Rommel Herrera Portillo, accusato di avere partecipato al ‘falso positivo’ dell’incendio all’ambasciata statunitense a Tegucigalpa, lasciata -guarda caso- senza alcun tipo di protezione proprio durante una delle giornate più difficili degli ultimi mesi.

Il ruolo dell’ambasciata statunitense rispecchia la classica ambiguità di Washington nel continente latinoamericano. In vista dell’inizio dello sciopero, il 30 maggio, l’ambasciata ha emesso un comunicato in cui diceva che “come amica e alleata del governo e del popolo dell’Honduras” invitava la popolazione ad astenersi da qualsiasi atto di violenza.

Ancora più evidente l’atteggiamento del governo Trump il giorno successivo quando, invece di condannare la brutale violenza della polizia militare, ha emesso un altro comunicato condannando la violenza contro l’ambasciata e confermando la “forte relazione con il governo dell’Honduras, che ha portato a importanti risultati nella lotta contro il narcotraffico e il crimine multinazionale”.

Nessun dubbio quindi sullo show della ambasciata bruciata, come strategia per rafforzare il governo e criminalizzare il movimento di protesta.

Instancabili e originali

Medici e maestri non hanno smesso di manifestare nemmeno durante questo fine settimana. Instancabili hanno macinato chilometri chiudendo le vie d’accesso alla capitale e ad altre importanti città. Hanno bloccato le principali arterie di comunicazione a livello nazionale e hanno invitato la popolazione a unirsi a una lotta “che deve essere di tutti”.

Hanno anche rifiutato i ripetuti inviti del governo a sedersi a un tavolo di dialogo, già che per il momento Hernández non ha mostrato nessuna intenzione di derogare la legge e i decreti esecutivi che aprono la porta a licenziamenti di massa e alla privatizzazione dei servizi pubblici, attraverso pratiche di terzerizzazione.

Il movimento di protesta nato attorno alla Piattaforma è uno degli elementi più interessanti dell'attuale congiuntura. Studenti, movimenti sociali e popolari, movimenti indigeni e contadini e  la popolazione in generale si sono uniti alle richieste di medici e maestri. Inoltre si è assistito a un ‘risveglio’ del settore sanità, storicamente non molto avvezzo alla partecipazione a proteste prolungate di piazza.

E i partiti politici, soprattutto quelli di opposizione, hanno dovuto rispettare l’autonomia della Piattaforma. Pur senza nascondere la propia simpatia nei confronti di un movimento spontaneo che lotta contro la privatizzazione del servizio pubblico, non si sono, per ora, intromessi in quelle che sono le dinamiche interne, nè nella strategia adottata da medici e maestri.

“L’abbiamo detto più volte e lo riconfermiamo: la Piattaforma non ha nulla a che fare con partiti politici. Qui ci sono persone che simpatizzano per vari partiti, incluso per il partito di governo, ma la nostra lotta va ben oltre queste cose, perché è una lotta in difesa del servizio pubblico que deve essere di qualità”, ha detto Figueroa.

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