Latina

Macri sconfitto in Argentina, Morales resta presidente della Bolivia

America latina: la settimana elettorale premia le sinistre

In Colombia la verde Claudia Lopez sindaca di Bogotà nelle regionali. Ballottaggio presidenziale in Uruguay il 24 novembre
28 ottobre 2019
David Lifodi


A livello elettorale, la settimana dal 20 al 27 ottobre si è chiusa con dei risultati tutto sommato positivi nel continente latinoamericano. In Bolivia, Argentina, Uruguay e Colombia si sono tenute elezioni i cui risultati avrebbero potuto modificare radicalmente lo scenario politico, mentre le piazze dell'Ecuador e del Cile continuano ad essere in ebollizione.

Evo Morales, pur se con sofferenza, e i tentativi di destabilizzazione delle destre, ha scongiurato un nuovo 21F e si è mantenuto alla guida della Bolivia.

In Argentina la dupla F, Alberto Fernández e Cristina Fernández, con il 48,01% dei consensi, ha finalmente cacciato dalla Casa Rosada il macrismo. Alberto Fernández sarà il nuovo presidente di un paese dove è in corso una gravissima crisi economica: il suo compito non sarà dei più semplici. Nelle elezioni regionali colombiane, le prime dopo la firma degli accordi di pace del 2016, il duqueuribismo ha dovuto ingoiare una netta sconfitta.

Solo in Uruguay la situazione è più complicata. Il nuovo presidente sarà scelto a seguito del ballottaggio del prossimo 24 novembre. Daniel Martìnez, candidato del Frente Amplio ed ex sindaco di Montevideo, ha conquistato il 38,6% delle preferenze rispetto a Luis Lacalle Pou, del Partido Nacional, fermo al 28,2%, ma quest'ultimo al secondo turno potrà contare sul sostegno delle destre unite.


Bolivia


Evo Morales

Il 20 ottobre Evo Morales, con uno scarto del 10,57%, rispetto allo sfidante Carlos Mesa, è riuscito ad evitare un ballottaggio che avrebbe potuto rivelarsi assai pericoloso. L'ufficialità della sua vittoria è stata tuttavia confermata solo pochi giorni fa. Come era già accaduto all'epoca dei suoi primi anni di governo, l'opposizione di destra ha cercato di replicare lo scenario venezuelano, rifiutandosi di riconoscere la vittoria di Evo e utilizzando gruppi paramilitari come la Unión Juvenil Cruceñista per scatenare violenze in tutto il paese. A Potosí è stato dato alle fiamme il Tribunal Electoral Dipartimental e la situazione non è degenerata anche grazie alla mobilitazione promossa dalla Cob – Central Obrera Boliviana e dalla Conalcam – Coordinadora Nacional por el Cambio.


Evo ha denunciato che era in programma un vero e proprio colpo di stato che prevedeva la creazione di un governo civico-militare con il compito di convocare nuove elezioni entro 90 giorni, ovviamente senza la partecipazione del Movimiento al Socialismo, e con il sostegno di una parte delle Forze armate. Dietro al piano per far capitolare Morales, funzionari del dipartimento di Stato Usa in Bolivia (Mariane Scott e Rof Olson) e i paesi del Gruppo di Lima, insieme a vecchi arnesi della destabilizzazione, dall'ex presidente Jorge "Tuto" Quiroga a Samuel Doria Medina, uno dei sostenitori della scissione dell'Oriente boliviano dalla Bolivia fin da quando Morales si è seduto per la prima volta a Palacio Quemado. In tutto il paese si sono tenute manifestazioni contro la rielezione di Morales, scatenate da Carlos Mesa, fermatosi al 36,8% dei consensi, e da Oscar Ortiz, definito il Bolsonaro di Santa Cruz, ma che ha guadagnato solo un misero 4%.


Tuttavia, i dati delle presidenziali dovrebbero anche far riflettere Evo, che ha vinto soprattutto grazie alle divisioni dell'opposizione, il cui principale sfidante, Carlos Mesa era stato vice-presidente di Sánchez De Lozada, che il 17 ottobre 2003 fuggì in elicottero dal palazzo presidenziale ripudiato da un paese intero e dopo aver scatenato una violenta repressione. Morales ha si reso stabile la Bolivia dal punto di vista economico, tanto da essere lodato anche dai mercati internazionali, ma la troppa leggerezza con cui il governo si è avvicinato all'estrattivismo, insieme ad alcune posizioni sull'ambiente non proprio condivisibili, rappresentano delle contraddizioni di non facile soluzione. Per ora, in ogni caso, Morales ha sventato un vero e proprio golpe e questo basta.


Argentina


Alberto Fernández

"La cosa più importante è che gli argentini non soffrano più": così si è espresso Alberto Fernández subito dopo aver vinto le presidenziali. La legge elettorale argentina stabilisce che al primo turno il candidato con il 45% dei voti, o con almeno il 40% e dieci punti di vantaggio sul secondo, sia il nuovo mandatario del paese. Mauricio Macri non è andato oltre il 40,67% dei consensi. Anche Maria Eugenia Vidal, governatrice uscente della provincia di Buenos Aires, è stata sconfitta dal kirchnerista Axel Kicillof. Sembra comunque azzardato parlare della fine del ciclo neoliberista in Argentina. Certo, il neoliberismo macrista è stato battuto, come ampiamente previsto a seguito delle Paso, le primarie aperte, simultanee, obbligatorie dello scorso 11 agosto, ma il compito della dupla F non sarà facile in un paese dove ormai la perdita del potere d'acquisto dei salari, la crescita della disoccupazione e della precarietà sembrano farla da padroni.

Il Frente de Todos dovrà far fronte anche al prestito di 57.000 milioni di dollari concesso dal Fondo monetario internazionale e da ripagare in tre anni. Un'Argentina più equa, solidale, para todas y todos è la sfida di Alberto Fernández, il cui successo ha già ottenuto due risultati. Il primo è quello di aver scatenato la rabbia di Jair Bolsonaro. Il presidente brasiliano già contava sulla rielezione di Macri per mantenere l'Argentina dalla sua parte, ma adesso il paese abbandonerà probabilmente le alleanze strette con i paesi dei governi più a destra del continente. In secondo luogo, la sconfitta di Macri ha già scatenato grandi discussioni nell'opposizione, con Horacio Rodriguez Larreta, alla guida di Buenos Aires, che preme per divenire l'astro nascente della destra al posto di Mauricio Macri.


Colombia


Claudia Lopez

In Colombia sono tre i fattori principali delle elezioni regionali: 1) la sconfitta del duqueuribismo, 2) l'elezione di Claudia Lopez (Alianza Verde) a sindaco della capitale Bogotà in Colombia - si tratta della prima donna e della prima candidata lesbica che ha conquistato la maggioranza dei voti degli elettori - 3) due ex guerriglieri del partito Farc - Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común, sono divenuti sindaci di Turbaco e Guapi (rispettivamente nei dipartimenti di Bolìvar e Cauca).


Il duqueuribismo ha perso anche Medellín, dove è stato eletto sindaco l'indipendente Daniel Quintero Calle, ed ha conquistato la maggioranza solo nei dipartimenti di Casanare e Vaupés. Per il partito Farc, invece, si tratta delle prime vittorie dalla sua nascita, raggiunte grazie ai candidati Guillermo Torres e Marino Grueso.


Va inoltre ricordato che le elezioni del 27 ottobre si sono tenute nel mezzo di una vera e propria ondata di violenza contro leader sociali ed esponenti delle organizzazioni popolari.


Uruguay


In Uruguay il ballottaggio del prossimo 24 novembre potrebbe invece giocare un brutto scherzo a Daniel Martìnez, candidato del Frente Amplio. Luis Lacalle Pou, del Partido Nacional, ha già incassato il sostegno del colorado Ernesto Talvi, che porterà in dote il 12% dei voti, e di Guido Manini Rios, di Cabildo Abierto (estrema destra), che ha ottenuto un sorprendente 10%. Definito come un'oasi a livello economico e sociale, nel conteso latinoamericano, l'Uruguay ha visto però crescere l'insicurezza e il narcotraffico ed è proprio su questi due argomenti che, ancor di più nel ballottaggio, la destra insisterà per togliere al Frente Amplio il governo del paese.


Nel più piccolo paese del Cono Sur si votava anche per l'approvazione della riforma costituzionale promossa dal senatore del Partido Nacional Jorge Larrañaga. Il progetto, significativamente denominato Vivir sin miedo, prevedeva, tra le altre cose, la militarizzazione del paese per "reprimere la delinquenza". Fortunatamente, non è stato raggiunto il 50% dei voti necessari affinché la riforma fosse approvata, anche se ben il 47% degli elettori si era espresso a favore. Nei giorni scorsi, il coordinamento nazionale "No alla riforma", composto da almeno 80 organizzazioni sociali, aveva dato vita ad una grande manifestazione nel centro di Montevideo.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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