Cile: i ministri che guardano al cambiamento
Il saluto di alcuni di loro, a pugno chiuso, la presenza di 14 donne e 10 uomini e la giovane età di una parte dei ministri, hanno portato una ventata di aria fresca e, di certo, possono essere ritenuti un segnale di cambiamento significativo in un paese che, dopo aver temuto realmente la materializzazione a La Moneda della variante cilena del bolsonarismo, quella di Kast, era stanco della destra oligarchica di Piñera e, sotto certi aspetti, aveva vissuto la disillusione dei governi della ex Concertación, la quale, con Ricardo Lagos e Michelle Bachelet, aveva scelto di percorrere la strada di una prudente socialdemocrazia senza aver nemmeno provato a scalfire un sistema economico che ha condannato il Cile ad essere dei paesi più diseguali al mondo.
Tuttavia il difficile, per Boric, viene adesso. Nonostante la diffidenza di alcuni settori più critici della sinistra e dei movimenti sociali, le cui perplessità sono effettivamente fondate, la maggioranza che ha votato Boric, all’insegna degli ideali antifascisti, si aspetta un radicale cambiamento di rotta.
Tra coloro che fanno parte del suo cerchio più ristretto, in un governo che, come ammesso dallo stesso Boric, guarderà al lulismo e alla Bolivia di Arce, i coetanei Izkia Siches (prima donna nella storia del Cile agli Interni), Camila Vallejo (Partito Comunista, farà la portavoce, un incarico che è considerato ministeriale) e Giorgio Jackson (Segretario generale ai rapporti col Parlamento). Questi ultimi due sono quelli con cui Boric ha condiviso tutte le sue battaglie in qualità di leader studentesco nel 2011 all’interno della Federación de Estudiantes de la Universidad de Chile e della Federación de Estudiantes de la Universidad Católica.
Tra le altre nomine di ministri che rappresentano una rottura netta con il passato vi sono anche quelle di Maya Fernandez, la nipote di Salvador Allende che ricoprirà l’incarico di ministra della Difesa, e di Alexandra Benado, ministra dello sport e figlia della militante mirista Lucia Vergara.
Se la maggioranza dei ministri ha un’età media intorno ai 49 anni, ha invece suscitato diverse perplessità la nomina di Mario Marcel, attuale presidente del Banco Central, a ministro del Bilancio. Economista, sembra anche con una sensibilità sociale, il suo nome è stato accolto con favore dalla destra e dai mercati, che Boric, con questa mossa, ha cercato il più possibile di tranquillizzare. Marcel ha ricoperto diversi incarichi durante i governi della Concertación, in particolare sotto Ricardo Lagos. “Un economista serio, con experiencia internacional, que demostró gran responsabilidad en el Banco Central”, ha esultato l’imprenditore Andrónico Luksic. “Gran decisión la designación de Mario Marcel en Hacienda”, ha esultato l’oligarchia, facendo arrabbiare i settori più critici verso Boric, accusato di disdegnare i movimenti sociali e il mondo del lavoro per riproporre il vecchio schema della Concertación. Per questo, ha scritto Cecilia Vergara Mattei, giornalista del Centro Latinoamericano de Análisis Estratégico (CLAE), quello di Boric sarà un “gabinete concertado”.
Come detto, il lavoro di Boric non sarà semplice. Il giovane presidente eredita la gestione economica deficitaria del suo predecessore Piñera, un paese dove il contagio della variante Ómicron è in crescita ed una situazione esplosiva nell’ Araucanía, militarizzata dalle destre poco prima di abbandonare la Moneda in chiave anti-mapuche.
Boric ha scelto di allargare il campo della sua coalizione, Apruebo Dignidad, ai rappresentanti dei partiti dell’ex Concertación. Tra i suoi ministri ve ne sono sette indipendenti, cinque di Convergencia Social, tre del Partito Comunista, due di Revolución Democratica, due del Partido Socialista, e uno di Partido Liberal, Partido Radical, Partido por la Democracia, Comunes e Federación Regionalista Verde Social.
All’ Economia è stato nominato Nicolás Grau, allo sviluppo sociale Jeanette Vega (del Partido por la Democracia), all’istruzione il docente Marco Antonio Ávila, alla Giustizia e ai diritti umani Marcela Ríos Tobar, al Lavoro Jeanette Jara, alle Opere pubbliche Juan Carlos García Pérez de Arce, agli Esteri Antonia Urrejola, vicina al Partido Socialista, impegnata a favore dei diritti umani (nella Comisión Interamericana de Drechos Humanos) e già presente dei governi della Concertación e di Nueva Mayoría con Frei, Lagos, Bachelet.
A proposito del nuovo governo e del presidente Boric, il giudizio di Doris Ojeda Cisternas, sociologa e attivista del Collectivo Ayllu Puka, è netto: “Boric è stato eletto da un voto politico, etico e ideologico all’insegna dell’antifascismo di fronte alla minaccia reale che Kast arrivasse a La Moneda. La sua reale percentuale di consensi si è vista in occasione del primo turno”.
Una parte di movimenti sociali intravede infatti in Boric la continuità con la Concertación e la Nueva Mayoría e ricorda il suo voto favorevole, insieme a quello di Jackson, per leggi come la “Ley anti barricadas” e un suo appello, “No vayan más a la Plaza Dignidad”, percepito da alcuni come un tentativo di cercare una pacificazione in cui le organizzazioni popolari perdessero la loro radicalità. Inoltre, come ricordato da Franck Gaudichaud sull’ultimo numero di Le monde diplomatique, “In Cile tutto comincia”, il nuovo presidente ha fatto parte di quei deputati che, il 15 novembre 2019, hanno appoggiato l’accordo per “la pace sociale e la nuova Costituzione” insieme alla destra e il centro.
Una cosa è certa: Boric è stato costretto a moderare le sue posizioni anche perché si troverà di fronte ad un Parlamento estremamente frammentato, per cui il suo obiettivo, quello di smantellare il modello neoliberista instaurato dal regime pinochettista, resta molto complicato da raggiungere. La necessaria governabilità passerà inevitabilmente dai legami stretti anche con partiti di centrosinistra che, al primo turno, non lo avevano appoggiato.
Per questo il compito di Boric resta arduo, ma la speranza di tutti è che faccia davvero voltare pagina al vecchio Cile, quello dell’oligarchia terrateniente, dei simpatizzanti del pinochettismo, ma anche di una Concertación così timida da non effettuare alcuna modifica sostanziale all’escludente modello economico del paese.
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