Argentina: accordo capestro con il Fondo monetario internazionale
Le politiche economiche imposte dal Fmi rappresentano, al contrario, un abbraccio mortale con l’indebitamento a cui andrà incontro l’Argentina, il cui governo, a questo punto, sarà fortemente condizionato in ogni aspetto della sua politica economica e non solo, al pari degli esecutivi che verranno dopo.
“Dos años perdidos de este gobierno que había despertado expectativas tras los cuatro de neoliberalismo macrista”: questo il giudizio sferzante di Aram Aharonian, giornalista e fondatore di Telesur Tv e Jorge Marchini, docente universitario ed economista del Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales (Clacso).
Certo, la pressione politica e mediatica del Fondo monetario internazionale è stata costante, ma l’errore del ministro dell’Economia del presidente Alberto Fernández, Martín Guzmán, è stato quello di ritenere “ragionevole” un accordo che danneggerà diverse generazioni di argentini. A questo proposito, un altro economista, Claudio Katz, ricorda che l’attuale governo ha creato le premesse per una rinegoziazione eterna di un debito che sarà impossibile risanare per l’Argentina e sottolinea come dietro alle ultime difficoltà economiche si sia sempre celato il Fmi, a partire dal 1985, all’epoca del presidente Raúl Alfonsín, fino ai giorni drammatici del collasso economico di fine dicembre 2001 e agli effetti devastanti prodotti dal neoliberismo estremo di Mauricio Macri.
Da ora in poi, ogni trimestre, sarà il Fondo monetario internazionale a controllare l’economia argentina, ma, soprattutto, sarà lo stesso Fmi, in qualità di sovrastruttura rispetto al governo centrale, a valutare se il paese avrà raggiunto gli obiettivi sanciti da questo accordo capestro. Inoltre, evidenzia Eduardo Lucita, esponente degli Economistas de Izquierda (EDI) e dell’Autoconvocatoria por la suspensión del pago e investigación de la deuda, nel 2025 o nel 2026, l’Argentina rischia di ritrovarsi nella stessa situazione del 2001.
In un articolo dal significativo titolo “FMI y el Gobierno en el laberinto de la deuda” Lucita mette in guardia sui rischi di un possibile default in un contesto in cui le relazioni con il Fondo monetario sono decise dalla politica che, a sua volta, naviga a vista condizionata da un orizzonte elettorale.
Lo scorso 21 febbraio, di fronte al Congresso, è stata convocata una prima manifestazione di protesta all’insegna del significativo slogan Fmi o el abismo? Cosa accadrebbe se l’Argentina non volesse pagare il debito, ereditato principalmente dalla presidenza macrista, e opponesse invece un rifiuto per dire basta al saccheggio del Fmi, dell’oligarchia del paese e al conseguente annullamento, de facto, della sovranità?
A chiederselo sono le organizzazioni popolari che ricordano come il 60% dei giovani viva sotto la soglia della povertà e non si capacita del motivo per cui il Frente de Todos abbia sottoscritto un accordo che condizioni in negativo il presente e il futuro di milioni di persone.
L’accordo consiste in una sorta di combinato disposto di due opzioni: “Países con Problemas de Balanza de Pagos”, definito dal Fmi come “programma di aiuto” e “Facilidades Extendidas”, un piano di rifinanziamento ogni dieci anni. Il primo obbliga il paese a rispettare delle mete fiscali e monetarie durante i primi due anni e mezzo con controlli trimestrali, mentre il secondo sancisce una serie di obiettivi che devono essere raggiunti entro il 2034.
A questo scopo il ministro dell’Economia Guzmán, per rendere meno amara la pillola, sostiene che occorre crecer para pagar, ma sono in molti a temere che l’Argentina, nel migliore dei casi, vada incontro ad una sorta di default differito.
Organizzazioni popolari e sinistra sociale ritengono invece che sia necessario battersi contro l’accordo con il Fondo monetario e sostengono che una scelta diversa, alternativa all’ennesima sottomissione al Fmi, sia possibile senza gli scenari catastrofici preannunciati da una parte della coalizione governativa per giustificare un pericoloso legame con un’organizzazione finanziaria abile ad alimentarsi e ad approfittarsi dei paesi in difficoltà economica solo per trarne vantaggio.
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